Il magazzino delle meraviglie se ne sta perfettamente mimetizzato nelle retrovie di una filiale di SDA, come se fosse una camera segreta incastonata nell’ingranaggio complesso della modernità. Il regno dei pacchi impossibili da consegnare è un enorme hangar nella pancia del sistema industriale di Poste, a Pontecagnano, Salerno, una cattedrale sconsacrata sorretta da arcate di cemento armato e travi d’acciaio: un plesso di settemila metri quadri dove si può trovare qualsiasi meraviglia, una grotta di Aladino ricolma di tesori smarriti. Quando attraversi questi spazi, percorrendo per centinaia di metri di ordinatissimi scaffali in fila – un labirinto geometrico ricolmo di montagne di merci – hai l’impressione di ritrovarti dentro una filiale italiana della casa di Babbo Natale: biciclette e frigoriferi, cataste di pneumatici e chitarre elettriche (da collezione), almanacchi Leonardeschi e libri, giocattoli e vestiti, tavole da surf, mobili, motociclette. Ovvero: alcuni oggetti senza nome o rifiutati dai destinatari, impossibili da consegnare. Benvenuti nell’UCA, il leggendario “Ufficio Colli Anonimi” di Poste Italiane. Una sorta di limbo dove restano sospesi per un anno i pacchi senza nome contenenti gli oggetti più disparati, qualsiasi cosa vi venga in mente, per quanto possa sembrare inverosimile, puoi trovarla qui. E se questo non accade significa che non l’hanno ancora inventata.

Corsa contro il tempo

Entro dentro il grande complesso di SDA di Pontecagnano e mi riceve Gerardo Mari, il responsabile del magazzino. Gerardo è un salernitano verace, barbuto, placido, meticoloso: il custode di questo mondo. È lui che apre, divide, ordina i colli che arrivano da ogni angolo del paese. Subito dopo si impegna in un lavoro tenace: quello che serve per inseguire i destinatari smarriti, fino all’ultimo momento utile, ovunque si ritrovino. La regola del magazzino è implacabile, la procedura quasi liturgica: tutti i colli possono sostare in questo spazio al massimo per un anno. “Ogni pacco – mi spiega Gerardo sorridendo – quando arriva da noi viene catalogato e datato in base al giorno. Da quel momento in poi è una corsa contro il tempo per ritrovare il destinatario o il mittente. Quando cerchi un ago in un pagliaio che è grande come tutto il pianeta – spiega con un sorriso – i giorni corrono veloci”.

L’enorme tesoro dello “zero virgola”

Nell’era dei pacchi, questo enorme hangar è la migliore fotografia del nostro tempo, della nostra fretta e della nostra ricchezza. È l’ultimo deposito, nel codice di una macchina perfetta che fa viaggiare i nostri pacchi. Come abbiamo visto, l’azienda insegue tenacemente tutti i destinatari che per qualsiasi motivo non si sono fatti trovare. Ne riesce a ritrovare moltissimi, ma non tutti, e talvolta – soprattutto nelle spedizioni internazionali – una catena di trasmissione che attraversa l’intero globo, coinvolgendo decine di organizzazioni, si inceppa e rende impossibile risalire al mittente. Alla fine di questo titanico viaggio, la percentuale dei pacchi che non trovano la loro casa è infinitesimale, solo lo 0,016. Ma la mole delle movimentazioni totali è talmente grande che poco più di 15mila pezzi rimangono sul fondo della rete. La legge dei grandi numeri rende questa minuscola percentuale una enorme calamita. E anche le briciole di questo titanico ciclo della modernità diventano un tesoro enorme.

Un progetto collettivo

Fino a quattro anni fa, infatti, tutto quello che finiva nell’UCA per regolamento doveva essere incenerito, perché – ovviamente – nulla può essere conservato in eterno. Poi il colpo di genio, la piccola-grande idea da cui sboccia un progetto di rinascita: creare un progetto congiunto con la Caritas, “Valori Ritrovati” – mai titolo fu più azzeccato – per reintrodurre (ovviamente senza nessun profitto) tutto quello che altrimenti sarebbe stato distrutto, in un circuito di assistenza e solidarietà per gli ultimi. Racconta Massimo Schiralli, il dirigente di SDA Operation Area Manager di tutto il Sud: “Quando l’UCA è finito sotto la mia competenza, abbiamo avviato, con tutta la squadra, una riflessione su quello che ci sembrava un assurdo: distruggere valore e ricchezza, oggetti che il più delle volte – aggiunge – erano addirittura nuovi”. Massimo decide che bisogna rompere quel protocollo: “A un certo punto mi dico: questo ciclo lo dobbiamo assolutamente fermare”. Ed è a quel punto che la macchina di Poste dimostra una grandissima agilità ed elasticità. Lungo la catena gerarchica che arriva fino a Roma, tutti si impegnano per creare un circuito alternativo, in pochi mesi ogni cosa cambia. Guido Di Donato, il responsabile nazionale della sicurezza, è l’uomo che fisicamente ha il compito di garantire e proteggere quei valori. Un altro grande protagonista di questa storia: “Abbiamo dovuto costruire un percorso alternativo che scongiurasse la distruzione. Così, grazie ai colleghi che si occupano di Responsabilità Sociale in azienda, abbiamo stretto una convenzione con la Caritas e siglato un protocollo per destinare queste merci ai mercatini della solidarietà. Abbiamo contattato Gennaro Di Cicco, il responsabile raccolta fondi dell’organizzazione: così “Valori Ritrovati” è diventato un circuito perfetto in cui più nulla va sprecato”. Ed è a questo punto che il cerchio si è chiuso: “Questo progetto è diventato collettivo, condiviso da tutta l’azienda, al punto che – racconta ancora Guido – cinquanta dipendenti, facendo volontariato, hanno dedicato il loro tempo alla vendita nei mercatini”. “L’unico rammarico – prosegue Guido – è che i generi alimentari non possono essere compresi nel progetto: nessuno, purtroppo, può garantire sulla loro commestibilità e devono essere inceneriti”. La consolazione è che, con i proventi dei mercatini, molti possono essere aiutati. I numeri che fornisce Schiralli sono impressionanti: “Nel 2018, su 28.499 pacchi abbiamo ritrovato 11.184 destinatari. Tutti gli altri 17.315 pacchi sono finiti nel progetto”. Lo zero virgola zero sedici, dopotutto, è zero. Ma per la legge dei grandi numeri è moltissimo.

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