sanremo

Nella notte fredda di Sanremo, il Festival ha riconquistato tutta la sua unicità, la dimensione e il ruolo di Specchio del Paese sbiaditi ormai dai tempi nuovi. Con un autentico colpo di genio, Amadeus ha portato insieme al Teatro Ariston il Presidente Mattarella, in prima fila ad applaudire, e Roberto Benigni sul palco a leggere la Costituzione. Il Capo dello Stato, come ha informato il suo portavoce, “è venuto qui come va alla prima della Scala”, qualcosa di più di un semplice riconoscimento, ma una vera e propria sorta di targa, un premio da affiggere in bacheca, che consente alla rassegna della canzonetta italica di assurgere al tempio consacrato della nostra Storia. In un momento così divisivo e diviso, come sempre nel nostro cammino tortuoso verso il futuro, Amadeus ha voluto pensare a una manifestazione inclusiva, per rappresentare il mondo reale che ammette differenze e diversi sentimenti, racchiusi insieme nell’unico spirito che ci rappresenta tutti, quello dell’unicità italiana, sigillata dall’inno Fratelli d’Italia intonato da Gianni Morandi, con il coro appassionato della platea. Quel che conta è la mano tesa che porge il Festival, con la sua capienza bulimica e ritornante, l’immagine che consegna al suo pubblico e ai posteri.

Gli applausi per Benigni

Quando si alza il sipario, Benigni chiede scherzosamente a Mattarella, seduto sul palchetto, se è costituzionale il quarto mandato e forse pure il quinto di Amadeus al Festival. Poi comincia: “Qui a Sanremo è tutto bellissimo, il luogo dello spettacolo e dell’arte e la Costituzione c’entra con Sanremo proprio per questo, perché è un’opera d’arte, ci dice che un mondo migliore è possibile, è un sogno che come l’arte fa sognare. I nostri padri e le nostri madri non l’hanno pensata, l’hanno sognata. Erano tutti di partiti diversi e di idee diverse, ma erano uniti, e per questo hanno scritto questo miracolo, creando la Costituzione più bella che si potesse immaginare, ammirata in tutto il mondo”. Poi si rivolge di nuovo al Capo dello Stato, perché spiega che fra gli autori “c’era Bernardo Mattarella, il padre del nostro presidente”, chiamando l’applauso del pubblico. Cita l’articolo che ripudia la guerra, e l’articolo 21, quello che lui dice di amare di più: “Noi viviamo in una terra dove tutti hanno il diritto di manifestare il proprio pensiero. In paesi molto vicini a noi tutti questo non è possibile”. Alla fine il pubblico si alza in piedi ad applaudire, “grazie a tutti voi, grazie a tutti gli italiani”. L’inizio è stato folgorante. Adesso si può partire con le canzonette.

La leggenda del Festival di Sanremo

Da oggi, che piaccia o no, il festival ha riconquistato la sua centralità. Dovremmo solo capire quale concatenamento di circostanze gli ha permesso di perpetuare i suoi fasti fino a oggi, e quali intrecci e concorso di eventi ha consentito all’idea audace e ingegnosa di un giovane esportatore floricolo, Amilcare Rambaldi, di inventare un luogo che Mattarella ha voluto innalzare alla gloria della Scala. Perché Sanremo è Sanremo e questo è pur sempre solo il festival della canzonetta. Ma anche l’Italia è l’Italia, e il Festival nasce in fondo sin da subito sotto il segno della contrapposizione manichea, che è un elemento fondante della nostra Storia, il sentimento comune più potente nel Paese dei guelfi e dei ghibellini. Ed è questa per assurdo la sua caratteristica più italiana, è questo il suo vero marchio di fabbrica. Quando il Festival debuttò nel 1951 non esisteva la canzone italiana nazionale. Esisteva solo, come scrisse Francesco Prisco, il collante melanconico della nostalgia, un sentimento che la musica accentua, rendendolo dolce e potente. Ed è in suo nome che nasce la leggenda del festival della canzone italiana. Già dal trionfo di Nilla Pizzi, nel 1951, la ragione vera della kermesse è la divisione, lo spirito della gara, una contrapposizione che si è perpetuata rinnovandosi negli anni, fra innovazione e tradizione, tra melodia e rottura, il vecchio e il nuovo con l’America che incombe, capinere e papaveri e papere, cantanti e urlatori, disimpegno e cantautori, rosso e nero, fino a quella di oggi, che è la stessa di sempre, fra la modernità e il passato. Nella vita delle canzonette s’è racchiusa non soltanto la fenomenologia di Sanremo e del suo italico showbitz, ma il rapporto che esse hanno avuto con il cammino del nostro Paese. Da questo palco un tempo partivano miti e riti che avrebbero influenzato nel bene e nel male le nostre abitudini e i nostri ricordi, con le loro rassicuranti rime baciate di cuore e amore o i testi destabilizzanti dei rock e dei rapper nelle loro maschere provocanti. Sanremo è il senso di tutto questo, la sua italianità più profonda. Ma in questa notte d’inverno, con Benigni e Mattarella, ha cercato di riunire le sue anime divise.