Quelle che chiama “lettere archeologiche” Marino Magliani ha cominciato a scriverle da ragazzino, quando è iniziata la sua “vita fuori di casa”. “I miei genitori erano contadini, mio padre lavorava come stagionale in Francia, andava e tornava, la necessità di mandarmi in collegio è stato solo un bisogno della gestione del tempo”, racconta, e così da quella lontananza scriveva lettere e ne riceveva da loro. Raccontavano che in paese la vita non cambiava mai, erano lettere di routine, lui, all’opposto, già allora inventava dal vero, “io mentivo, ero già uno scrittore, non potevo dire che stavo malissimo, sto benissimo, invece, scrivevo. In realtà era tutto diverso nel collegio dei frati, c’era un ambiente coercitivo di terrore, fatto di piccole violenze e di manomissioni sentimentali”. Nel romanzo “Il cannocchiale del tenente Dumont” (L’Orma, 2021), selezionato al Premio Strega, ambientato nel 1800, una storia di disertori dell’esercito napoleonico, ci sono molte lettere, le scrive Dominique Larrey, un emissario del dottor Zoomer, che sta conducendo uno studio sulla diffusione dell’hashish tra i soldati.
I mondi di Marino Magliani: l’amicizia epistolare con Tabucchi
Marino Magliani è un affascinante scrittore di diversi mondi, la Liguria natale e l’Olanda, dove attualmente risiede, ma è vissuto anche in Spagna e in America Latina, traducendo, ma anche facendo il cameriere, lo scaricatore di porto e il marinaio. Con Antonio Tabucchi si è scambiato mail come fossero lettere, tutte notturne, “ogni tanto rileggo quelle che ci siamo scambiati negli anni. Ci scrivevamo sempre di notte. Dicono che gli esuli fanno bene due cose, uno è camminare lungo le vie di un fiume, di un mare, di un lago, di un canale; l’altra è non dormire la notte”. È stata una “amicizia epistolare”, entrambi vivevano lontani dall’Italia, “ci siamo visti solo una volta, era l’aspetto geografico che ci univa, quello che rende la Liguria un po’ Portogallo, si parlava di geografia, la Liguria è una terra del far west epico, dell’Occidente lontano, una terra ancora spericolata, noi personaggi contadini sembriamo tutti dei cowboy, è l’estremo Ponente dove comincia il vero mare”, questa è la sua visione. Il suo epistolario preferito è quello di Giovanni Boine, letto e studiato, che secondo lui ha anticipato Proust, le lettere di Pavese e Calvino, quelle bellissime di Van Gogh, “ma è comunque una forma egoista di noi sopravvissuti che ci appropriamo di una intimità, leggendo si sta profanando qualcosa”.
Le lettere alla madre
In realtà durante i suoi molti viaggi l’unica persona alla quale Magliani scriveva era sua madre, “le dicevo che facevo una vita sanissima, andavo a dormire presto, invece, lavoravo in una discoteca sulla Costa Brava, stavo alle Canarie, oppure facevo il mozzo su un traghetto in Corsica, dove sarò andato trecento volte, tutti non luoghi, comunque scrivevo solo a lei, che rispondeva: “stiamo tutti bene, le piante di ulivo sono secche, non è piovuto, gli amici mi chiedono di te” dice canzonatorio. Traduceva anche le lettere d’amore agli amici, quelle spedite dalle turiste arrivate in Liguria d’estate, “mi cercavano perché conoscevo le lingue, alcune erano definitive, ho un altro, la storia è finita, un po’ le mitigavo, scrivevo le risposte, sette, otto righe, ritorna, o vengo a trovarti il prossimo mese, traducevo e avevo la dimensione della potenza delle lettere, del potere delle parole, certi sbiancavano, per pochi istanti li tenevo in pugno” dice serio di loro.