Per il sesto anno consecutivo conduce su TV2000 “L’ora solare”, programma di approfondimento in cui raccoglie storie molto spesso legate al passato. Paola Saluzzi, amatissima conduttrice della tv della Conferenza Episcopale Italiana, racconta del suo legame con Poste Italiane e gli uffici postali in particolare, e della sua passione per un mondo di lettere e cartoline.
Paola, sei una cliente di Poste Italiane da tanto tempo: come è cambiato secondo te il mondo di questa azienda?
“Sono cliente almeno da vent’anni. Nel corso del tempo, ho visto mettere a disposizione del cliente qualsiasi tipo di servizio, a partire dalla telefonia. Ma questa modernizzazione non ha intaccato la qualità più bella che gli uffici postali possono vantare: il rapporto umano. Sono in eccellenti rapporti con una persona, Teresa, che era allo sportello dell’ufficio postale dove aprii il conto e con una giovane consulente, Raffaella, che mi ha “adottato” ora nell’ufficio postale di via Marmorata, e che riesce sempre a risolvere i guai che combino. Gli uffici postali restano un luogo fisico, di sicurezza, dove spedire, pagare, ma anche ricevere suggerimenti: il fattore umano è importantissimo”.
Sembra di sentire il racconto di un cliente di un ufficio postale di un piccolo comune, invece parliamo di Roma.
“È un ulteriore merito vedere questa attitudine: noto per esempio che nei confronti delle persone anziane c’è la professionalità unita alla tenerezza. Non sto raccontando un mondo fatato, ma un mondo di grandi professionisti. E, soprattutto, non è un atteggiamento dedicato a pochi, ma a tutti. E noto anche che raramente venga risposto ‘non lo so’. Oppure, un iniziale ‘non lo so’ viene sempre trasformato in ‘aspetti che chiedo a un collega’. È piacevole vedere persone impegnate a risolvere i tuoi problemi con qualsiasi mezzo a disposizione. Ed è bello trovare un mondo che ti accoglie. In quest’ottica, ritengo fondamentale la capillarità: tre anni fa, subito dopo i lockdown, andai in vacanza a Laion, un piccolissimo paesino delle Dolomiti. Trovare l’insegna gialla di Poste mi ha fatto sentire immediatamente connessa al resto d’Italia, mi ha fatto sentire a casa”.
Nella tua trasmissione, hai ospitato una portalettere da cinque generazioni. Ti affascina la storia delle Poste?
“Io scrivo ancora lettere, compro ancora carta da lettere, e ancora ne ricevo. Mi capita di riceverne alcune anche con il francobollo dentro, una forma di cortesia e di rispetto di altri tempi. Quando ero ragazzina l’arrivo del postino era un momento di festa. Mettersi sulla punta dei piedi, da bambini, e spiare nella cassetta della posta per vedere se era arrivato il messaggio che si aspettava è qualcosa che al pensiero ancora mi emoziona. I portalettere sono persone che detengono, per un determinato periodo di tempo, storie, sentimenti: non portano solo lettere, portano pezzi di storia, di bene, di rabbia, di conoscenza di fatti. Dietro a una lettera c’è sempre un postino, qualcuno che ha messo un timbro, persone che hanno in qualche modo toccato quell’amore, quella notizia e quei valori. Il mio pensiero va inevitabilmente alla letteratura e al cinema: il Postino di Troisi, che consegnava le lettere al poeta Neruda, unica persona che le riceveva sull’isola, racconta egregiamente il senso di questo mestiere”.
Che responsabilità devono sentire le persone che lavorano per Poste Italiane?
“Intanto devono ricevere un grande grazie per la loro pazienza. Dobbiamo ricordarci che se riversiamo su di loro i nostri problemi dall’altra parte c’è sempre una madre, un padre, una figlia, un figlio, una moglie o un marito che hanno anche i loro di problemi. Bisogna riconoscere questa monumentale pazienza e la professionalità che porta ad essere sempre aggiornati perché questo è un lavoro ‘estremamente’ pubblico. Mantenere nel tempo questa capacità di sorridere è una cosa che non possiamo pretendere”.