Una squadra di portalettere

Prendete ad esempio Gennaro, postino pugliese “Doc”, uno che da trent’anni fa le consegne sempre nello stesso quartiere: “Io adesso avverto qui, al Sud, la stessa paura che a marzo mi raccontavano serpeggiasse al Nord. Nel tuo cammino di portalettere senti di sempre persone che hanno contratto il virus, trovi sempre più clienti in quarantena, vedi le luci dei lampeggianti delle ambulanze davanti ai portoni, e poi con due domande scopri subito chi si è contagiato, capisci che il Covid è arrivato tra noi. Ti sembra quasi che si metta a bussare alle stesse porte a cui bussi tu, come se ti seguisse, e cercasse anche lui i tuoi clienti”.

La mappa dei contagi
Se li intervisti e metti insieme le loro voci, componendo un mosaico che tiene insieme tutta l’Italia, ti accorgi che i postini nei tempi del Covid sono come un sismografo. L’equivalente di strumento molto raffinato e sensibile di indagine sociale, che ti racconta in diretta, fotogramma per fotogramma, il romanzo di una intera nazione. Così, se passi una giornata ad ascoltare le voci dei postini capisci subito, meglio che in cento ricerche demoscopiche, l’impatto della cosiddetta seconda ondata. Non solo quello sanitario, ma anche quello psicologico e persino di costume. Partendo da queste testimonianze potresti quasi disegnare una mappa di come si muovono sui nostri territori questi due inesorabili e terribili compagni di viaggio: la paura e il virus. Scopri che l’Italia è di nuovo divisa in due, anche se stavolta in modo ribaltato: chi al centro e al Sud vive per la prima volta il contagio, lo fa con una intensità del tutto diversa (e ovviamente maggiore) da chi l’ha già vissuto in primavera, al Nord. Molti di loro sono anziani, sempre più intrappolati nelle loro case, spesso alla ricerca di nuove abitudini di vita.

L’impennata dei pacchi
Chiara, per esempio, è una portalettere che lavora da anni nel quartiere Ostiense di Roma. E ti dice: “Il tipo di lavoro è cambiato, insieme all’umore della gente, dalla mattina alla sera! Il numero dei pacchi da consegnare è esploso, improvvisamente: io ho visto crescere l’e-commerce tantissimo, insieme alla paura di uscire di casa. È stato un aumento quasi esponenziale. Da quando il virus ha iniziato a correre a Roma – racconta Chiara – la gente preferisce comprare online”. Poi sospira: “Ma lo sai che i colleghi del turno del pomeriggio, ormai, portano solo pacchi?”. Anche Agnese lavora a Roma. Ed è senza dubbio una postina particolare che, in una vita precedente a quella in azienda, faceva l’interprete nella lingua dei segni. Dice di essere, anche per questo, abituata a cogliere i dettagli, a tutto quello che si dice anche con il linguaggio non verbale. E poi si mette a ridere: “Io, in effetti, in questa crisi posso dire molto di più. Non solo sono una portalettere, ma sono anche una mamma di due bambine”. E subito dopo inizia a raccontare il suo diario di viaggio per le vie della Capitale: “Io avverto la paura e il timore che crescono tra noi, ogni minuto di più. E – se posso dirlo – lo sento anche su me stessa. Noi – spiega ancora Agnese – siamo ligi al dovere e alle norme di distanziamento come alla lettera del Vangelo”. Però… “Però sai che per fare questo lavoro ti devi proteggere, ma anche che non ti puoi tirare indietro. Perché il postino diventa parte della famiglia”.

Il gusto delle piccole cose
Ma non è, ovviamente, solo una preoccupazione strettamente sanitaria, quanto piuttosto uno stato d’animo, quello che si avverte: “È il clima psicologico che è cambiato rispetto ai tempi del lockdown. Molti sono scocciati, a volte persino rabbiosi, e te lo dicono. Io sento sulla mia pelle questi tre indicatori crescenti: la distanza emotiva, una rabbia senza obiettivi definiti e ovviamente la paura”. E allora anche per Agnese i pacchi diventano il termometro di un cambiamento: “Sono più che raddoppiati: la gente sta a casa perché l’80% dei miei clienti nel quartiere o fa lo smart working o è pensionato. E chi è in isolamento – spiega – passa le giornate su internet a fare acquisti, magari anche piccole cose, magari per farsi compagnia”. Poi ride: “Ogni volta che faccio il giro devo fare tappa da un signore, su viale Marconi… Non posso dire di più, per rispetto della sua privacy, ma pensa che ordina tre pacchi al giorno. E non appena sente la mia voce al citofono mi fa: “È arrivato? È arrivato? Quante cose puoi capire con due sole parole!””.

L’idea di normalità
Ed ecco perché ti stupisce davvero, in questo giro d’Italia per buche delle lettere, portoni e marciapiedi, sentire dalla testimonianza di una postina che lavora al Nord qualcosa di più impalpabile, una condizione psicologica che nessun dato sanitario ti racconta. Patrizia, pugliese, trapiantata a Lugo di Romagna, te lo spiega benissimo con due immagini: “Oggi vedo le persone meno spaventate. Ti guardano da dietro le tende, e nessuno ti dice di essere in quarantena”. Pausa: “Credo che sia per difendere la loro idea di normalità”. Patrizia aggiunge: “Vedo crollare, dopo tanti mesi, il rispetto delle regole. Ci vengono incontro per le scale. Non pensano che noi possiamo essere asintomatici, molto spesso non hanno mascherina. Così – aggiunge Patrizia – qui a Lugo è come se il virus improvvisamente fosse sparito e non servisse più nessuna protezione. È incredibile come accada a tante persone diverse, nello stesso momento. Io devo dire, per regolamento, e lo faccio sempre: “Guardi che se non ha la mascherina non consegno!”. Ma capisco che la gente è stanca di questa situazione, non si aspettava una ricaduta e, nei limiti in cui può, non l’accetta”. Salvatore Leonardi lavora al centro di smistamento di Bologna. Se i portalettere sono la prima linea, la trincea, chi è nelle retrovie vede i grandi volumi: “Sono giorni strani. Il traffico a tratti esplode e poi si placa. E noi siamo riusciti a rispondere a queste fluttuazioni con una organizzazione logistica perfetta”. In che senso, gli chiedo. E lui: “Entriamo in supplenza su altri territori con una facilità sorprendente. Abbiamo imparato con una velocità e una elasticità che non mi immaginavo: pensa che l’altro giorno abbiamo servito Roma, come se nulla fosse”.

La “leggenda” del portalettere
Ancora Agnese: “Superare la prima ondata ci ha reso forti. Soprattutto quando ti accorgi che sei l’ultimo operatore sociale rimasto in campo”. Le chiedo se questo non la spaventi, e allora lei mi cita un meme che si è salvato sul telefonino, come un amuleto: “Hai presente quel film di fantascienza, “Io sono leggenda”, con Will Smith, che interpreta il ruolo dell’ultimo superstite umano nella metropoli dopo la catastrofe di un virus?”. Certo che me lo ricordo: è uno dei miei film preferiti. “Ecco – mi riferisce divertita – ne hanno fatto una versione postino, e in ufficio ce lo siamo passati tutti su Whatsapp”. Ultima pausa, un po’ teatrale: “Non sorridere: a volte – conclude Agnese – prima di fare il giro lo tiro fuori, lo guardo come una immaginetta, mi carico. E sono ancora più fiera di quello che faccio”. La leggenda del postino nella seconda ondata.