Francesco Merlo è uno dei pochi giornalisti italiani che vanta un particolare primato: è stato editorialista sia del Corriere della Sera che di Repubblica (dove scrive attualmente). Ci diamo del tu perché siamo colleghi. Da anni Merlo passa la maggior parte dell’anno in una casa in campagna, in un paesino della Toscana – Monteverdi – arroccato in mezzo ai boschi sopra Castagneto Carducci. “Senza le Poste – dice ridendo – sarei scollegato dal mondo: non potrei lavorare. Ma forse dovremmo cominciare da Kafka”.
E perché?
“C’è una frase bellissima che lo scrittore inserisce in una delle sue lettere a Milena, che mi aiuta a entrare nel tema”.
Quale?
(Sorride, mentre cita a memoria). “Nascondo i miei baci dentro la mia lettera, perché altrimenti il postino li vede e se li ruba”.
Geniale.
“Riflettici. Questa è, allo stesso tempo, sia una bellissima frase d’amore, sia una fotografia di costume”.
Su cosa?
“Sul rapporto stretto tra la letteratura, i sentimenti e il servizio postale ai tempi dell’impero austro-ungarico”.
Perché all’epoca l’amore correva ancora per via epistolare…
“E perché il postino era così addentro alle tue relazioni da diventare un possibile protagonista di un triangolo”.
Perché sei partito da qui?
“Perché nel tempo del Covid le Poste si prendono una grande rivincita sulla storia, tornano protagoniste, vitali, indispensabili, proprio come un secolo fa”.
Non era scontato.
“Per nulla. Ti faccio un test di cultura generale. Se io ti dico: Colabona e Guardalavecchia…”.
Chi sono?
(Ride). “Ma come, non ricordi? Sono i nomi di Totò e Peppino ‘impiegati delle poste’. Sono, a loro modo, due archetipi perfetti degli impiegati delle Poste, e del loro ruolo nell’Italia degli anni Cinquanta”.
Perché?
“La gag più divertente del film, esilarante se te la vai a rivedere, è quella in cui Totò e Peppino discettano e trafficano con un cartello da affiggere nel loro ufficio”.
E cosa c’è scritto sul cartello?
“’È fatto divieto di sputare per terra’. In questa scenetta c’è davvero un’altra Italia in bianco e nero molto distante da quella di oggi. Fatta di cafoni in senso letterale: nati poveri, ineducati alle buone maniere e alle convenzioni…”.
E in quella Italia del Dopoguerra le Poste diventano pedagogia.
“Ecco il punto: anche Totò e Peppino sono come i loro clienti”.
Poveri e ineducati?
“Esatto. Ma basta l’assunzione a nobilitarli, a farli diventare pedagoghi, educatori, in una parola: rappresentanti dello Stato”.
È stata una funzione delle Poste in questo Paese.
“È stato così solo per le ferrovie, per le Poste, per la scuola e i carabinieri. Hanno assolto ad una funzione nazionale”.
E quando è finita questa “missione”?
“Non ancora: pensa al successo incredibile di ‘Benvenuti al Sud’. Le Poste, le ferrovie e la scuola hanno fatto l’unità d’Italia perché hanno messo insieme Nord e Sud. In Francia, con ruoli geografici rovesciati, è accaduto lo stesso”.
Le Poste hanno sempre avuto un elemento strutturale di differenza.
“Il postino è una professione di contatto. Il postino cammina. Il postino lega e collega, ancora oggi. E se hai pazienza ti racconto la storia del mio rapporto con le Poste di oggi, nel tempo della pandemia”.
Racconta.
“Accadeva già, ma dopo la pandemia da noi è iniziato il ballo dei pacchi. La mia casa è un viavai continuo di plichi, lettere e colli”.
E cosa c’è dentro?
“Libri, accessori per la cucina, vestiti, materiali didattici per i miei figli. È un viavai continuo. La nostra postina, Monia, che conosco bene, e che noi chiamiamo per nome ha il nostro cellulare. Risolve problemi, come mister Wolf”.
In che senso?
(Ride). “Avevamo un problema con la nostra cassetta postale. Lei mi ha fatto vedere con gesti esperti come si estrae il nottolino della serratura, poi mi ha detto dove li vendono, e quindi dove abitava un ragazzo che me lo poteva montare”.
Servizio completo.
“La cosa che mi stupisce è che non abbandonano mai un pacco. Si è creata una idea di servizio molto forte. Ed è giusto perché spesso sono spedizioni vitali”.
Fammi un esempio.
“Io compro molti libri, in tutto il mondo, adesso ad esempio perché sto scrivendo un saggio su Manzoni. Pensa che dramma perdere un libro di cui esiste una sola copia reperibile al mondo”.
Come vi siete attrezzati per quando siete a Roma?
“Abbiamo una casella postale. La signora dell’ufficio – altro personaggio centrale di Monteverdi – mi chiama e sa già di cosa si tratta”.
Conosci anche lei per nome?
“Certo. La signora Matilde è una bravissima pittrice, di mamma francese, poliglotta. Ha una passione per il ritratto figurativo. Voleva fare l’Accademia di belle Arti, ma poi ha iniziato a lavorare in azienda ed è rimasta stregata”.
Dal ruolo sociale?
“Certo. Devi sapere che l’Ufficio Postale di Monteverdi è sempre pieno, anche durante il Covid con la fila – civilissima e distanziata – anche fuori”.
Come lo spieghi?
“Perché Monteverdi ha settecento anime. Nei piccoli paesi l’Ufficio Postale fa da banca, paga le pensioni, sbriga la corrispondenza. È il vero centro culturale del paese”.
Addirittura?
“Il bar è il gossip, il municipio rappresenta l’autorità politica e l’Ufficio Postale è la vita. Tempo fa, in un paese vicino c’è stata una rapina all’Ufficio Postale: e per mesi tutti eravamo preoccupati del nostro. In apprensione”.
Addirittura.
“Per difendere un bene comune, ovviamente. Ma anche per lei, per Matilde. Ho molto apprezzato la convention dei Piccoli Comuni e l’appello di Mattarella. Bisogna difendere l’idea dell’Ufficio Postale anche nei piccoli comuni, fare di tutto per evitare di accorparli. Il sapere di Matilde, o della postina Monia, è legato alla conoscenza delle persone, del territorio, alle relazioni. Non è trasferibile”.
La pandemia ha esaltato tutto questo.
“Con il Covid i pacchi sono diventati parte del tessuto sociale. Il punto è che le Poste e i pacchi ci rendono uguali”.
Perché abbattono le distanze?
“E le differenze. Di censo, ma soprattutto geografiche. Con i pacchi da Monteverdi Marittimo, o da Canicattì si può entrare in uno studio bibliografico di New York e comprare un libro. Andare a scegliersi un paio di scarpe a cento chilometri da casa. Comprare un lampadario in Cina”.
Era possibile anche prima.
“Ma prima non potevo vedere, scegliere, valutare. Il digitale ha azzerato la difficoltà di conoscenza. E, per paradosso, ha aumentato la potenzialità di traffico fisico”.
Quindi il pacco è figlio di questo incontro?
“Gli occhi per cercare nella rete, in digitale. E le mani del tuo postino che lo fanno arrivare fino a te, dall’altra parte del mondo, fino alla casella postale del tuo paesino, o seguendo la strada del bosco, nelle mani sicure della postina”.
Vero.
“Pensa: internet mi consente di arrivare virtuale e ovunque. Ma è grazie a Monia che il cerchio si chiude”.