Grandissima soddisfazione per Salvatore Cutaia, dipendente di Poste Italiane, ai campionati italiani paralimpici di atletica indoor ad Ancona. “Grazie al mio allenatore Giuseppe Raffermati e al mio tecnico ortopedico Tony De Muro, sono riuscito a portare a casa 2 medaglie d’oro sugli 800 e sui 1500 metri” ha raccontato al sito della Gazzetta dello Sport.

Un esempio per tutti
Vale davvero la pena di ascoltare la storia di Salvatore Cutaia, raccolta da Postenews. È una storia di rinascita, di fiducia. È un esempio di tenacia e di capacità di adattamento. Salvatore lavora a Gestione Operativa a Torino. Circa due anni fa ha subito l’amputazione del piede. “E da allora mi sento meglio, ero più disabile prima di adesso” spiega. Partiamo dall’inizio, da quando Salvatore, a 13 anni, scopre la passione per la corsa. “Correvo sempre, Natale, Pasqua, Capodanno”. Corre sempre e i risultati non tardano ad arrivare, sia in strada che alle corse campestri: 1° classificato alla maratona di Palermo nella categoria Allievi nell’88, vittoria nel campionato italiano campestre a Paestum nell’89. Poi, la sera del 20 gennaio 1990, Cutaia è in moto, una macchina sbuca fuori dal nulla, lui cerca di evitarla ma i legamenti del piede sinistro e quelli del ginocchio vengono tranciati di netto dal gancio da traino di un’auto parcheggiata lì vicino. Un infortunio che avrebbe messo al tappeto chiunque, non Salvatore che dopo sei mesi corre di nuovo. E continua a vincere premi.

In un tunnel
Nel 1995 si trasferisce a Torino per lavoro e, pur continuando a correre, la sua attenzione si sposta su molti sport, dal ciclismo, al tennis. Nel 2012, l’incubo si riaffaccia: il piede sinistro inizia a fargli male e, dopo una lunga serie di accertamenti, apprende che durante l’incidente di 22 anni prima (o addirittura in sala operatoria), era stato attaccato da una osteomielite con un batterio aggressivo e molto resistente. Per diversi anni, ogni giorno, il suo calvario in ospedale per fare flebo con antibiotici e antinfiammatori. “Non ne potevo più: il dolore passava per qualche giorno, poi tornava identico se non peggiore di prima”. Consulta diversi medici ma la conclusione è sempre la stessa: amputazione. Dopo sei anni di sofferenza e quattro interventi per cercare di salvare la situazione, il 25 gennaio del 2019, a Salvatore – quasi sollevato dalla speranza di non soffrire più – viene amputato un piede. “L’Azienda mi è sempre stata accanto – spiega – e continua a esserlo”.

Il senso di una missione
Fin qui, la storia del grande dolore della sua vita. Ma, se avete seguito bene, sapete che Salvatore non è un tipo qualsiasi. La sua tenacia va oltre la sfortuna e le avversità. Passano pochi mesi e, il primo maggio 2019, completa un percorso di 55 km in bici e il 9 maggio il primo bagno in piscina con la protesi adatta all’acqua con i suoi tre figli, che finalmente riesce a seguire nelle loro attività. “La protesi non è difficile da superare: dopo neanche un mese ho abbandonato le stampelle. E non mi sento neanche in imbarazzo: si nasconde facilmente con i pantaloni. Ma adesso, vi dico di più: voglio farla vedere a tutti, perché è diventato un valore aggiunto. La gente deve vedere che con la protesi io posso fare tutto. Faccio più cose di buona parte dei normodotati”. Salvatore balla con la sua compagna, va tutti i giorni in palestra ed è entrato a far parte della squadra Nazionale di pararafting con la quale, il 13 ottobre scorso, ha vinto i campionati Mondiali a Kiev (Ucraina). Con il collega Angelo Cottitto, pochi giorni fa, hanno affrontato con successo la salita di Superga. Tutta questa forza, lui, non la tiene per sé: oltre a diverse interviste in tv, ha aperto un canale Youtube per spiegare ciò che si riesce a fare con la protesi. “Voglio far arrivare a più gente possibile la mia storia. Quando sapevo che non c’era più nulla da fare, ho iniziato a cercare su internet se c’era qualcuno che mi potesse dare coraggio, spiegando come sarebbe stata la mia vita. Non l’ho trovato. E allora è questo il senso della mia missione: far capire a chi si trova davanti a una situazione drammatica che dopo si possono fare tante cose, che la vita va avanti come o meglio di prima”. Così, trasmette un po’ del suo ottimismo a chi soffre e fa capire che è meglio perdere un pezzo del proprio corpo ormai malato. Per poter poi rinascere.