Tolleranza, facile a capirsi, difficile da praticare, è una parola importante. Necessaria almeno a ridurre i motivi di conflitti piccoli e grandi che accompagnano l’umanità dai primordi. Indica un modo di guardare gli altri dal loro punto di vista e non dal presuntuoso punto di vista egoista o ideologico. Progredire nella tolleranza è un progredire nella civiltà verso la pace e la convivenza fondata sul diritto di ciascuna persona riconosciuta nella sua dignità e libertà di coscienza. Di tolleranza c’è bisogno ancora oggi per non precipitare in conflittualità distruttive i rapporti tra gli Stati, all’interno delle società civili o religiose, nei corpi sociali intermedi, tra singoli individui. Il progresso di civiltà si misura in ragione del progresso nella tolleranza. La sua mancanza è una spia della degenerazione politica, sociale, religiosa. Al progresso della tolleranza non mancano contributi importanti di pensiero tramandati sotto forme di Lettere. Tra queste ce n’è una cui il progresso della democrazia occidentale deve parecchio e che non si può ignorare: è L’Epistola de Tolerantia (Lettera sulla tolleranza) di John Locke, “amico della pace, odiatore della persecuzione”.

Fino a Papa Francesco

Un autore che ha precorso gli Illuministi contribuendo a svelenire la ferocia dei rapporti tra Stato e Chiesa e tra le religioni. I progressi di civiltà giuridica confluiti nella moderna Dichiarazione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa devono qualcosa alla Lettera sulla tolleranza di Locke, indirizzata al professore di teologia Filippo van Limborgh, considerato “odiatore della tirannide”. La fatica della tolleranza a farsi strada anche oggi è confermata da conflittualità esasperate e irragionevoli che spostano al futuro il pieno avvento di libertà, uguaglianza, fraternità rispetto al bene “particolare” di individui e gruppi. Locke nella sua Lettera insegna un principio elementare che spesso ricorda anche Papa Francesco: i conflitti non vanno negati ma affrontati e risolti con ragione e buon senso. Uscendo dall’angolo dell’ipocrisia con la quale si è capaci di tramare nell’ombra e alle spalle nel momento stesso che si firmano accordi o si esalta la giustizia e la pace.

Un auspicio attualissimo

La Lettera di Locke al di fuori della cerchia dei filosofi aiuta a superare l’illusione che basti una chiara teoria della tolleranza per invogliarne l’applicazione. La Lettera lascia a ciascuno tirare le conseguenze che derivano dai principi esposti in vista del bene comune: separazione dei poteri tra Stato e Chiesa; rispettivi ambiti di intervento; metodo di intervento dei due poteri verso i cittadini e i credenti. Spicca in particolare l’accento sulla competenza e l’onestà richiesta alle autorità civili e religiose nello svolgimento delle proprie mansioni. “Possa Dio onnipotente – è la formula finale della Lettera di Locke – far sì che un giorno sia predicato il Vangelo della pace e che i magistrati civili, preoccupati più di conformare la propria coscienza alla legge di Dio che di vincolare la coscienza degli altri alle leggi umane, come padri della patria dirigano tutti i loro sforzi e i loro piani a promuovere la felicità civile comune di tutti i loro figli, o almeno di quelli che non sono violenti, né ingiusti o cattivi con gli altri. E gli ecclesiastici, che predicano di essere successori degli apostoli, seguano le orme degli apostoli e, messe da parte le faccende politiche, pensino soltanto, con pace e modestia, alla salvezza delle anime”. Un auspicio attualissimo ancora oggi.