“Questo è un viaggio emblematico. È anche un dovere verso una terra martoriata da tanti anni”. Sono parole di Papa Francesco ai 74 giornalisti sull’aereo che li trasportava verso Baghdad. Rivelano le sue speranze e le sue intenzioni; la coscienza di un evento storico comunque, nella riuscita o nel fallimento. Ma volando verso l’Iraq Francesco non poteva immaginare le forti emozioni che lo attendevano. Ora lo si ricorderà come un viaggio apostolico riuscito, almeno nella parte di competenza papale. Gli altri attori della visita (popolo iracheno, minoranze etniche e religiose, comunità internazionale) sono attesi alla prova dei fatti. Francesco ha chiesto con franchezza garbata opere coerenti con la fede e con il diritto internazionale. Ha seminato in Iraq i gesti della sua tenerezza umana e la forza delle sue parole dense di una visione profetica di pace per un Paese che attende di essere ricostruito sulla giustizia e la fraternità. Per condurre in porto la svolta impressa da Francesco al processo di pace in Medio Oriente occorre cuore e intelligenza nuova alla comunità internazionale e in particolare ai maggiori leader del mondo.
Scommessa di pace
Si può assimilare la sua visita a una sorta di lettera aperta ai cristiani e ai cittadini dell’Iraq per accompagnarli nella fase della ricostruzione che si annuncia non breve né facile. Lettera con una scommessa di pace possibile se la si volesse. Le autorità, il popolo e le Chiese decideranno che farne delle parole di fuoco di Francesco per un cambiamento profondo nel modo di pensare e di agire. Fermato il caos della guerra distruttiva, finito lo spettro del terrorismo, finita la fede insensibile al dolore e introversa sulla riva della beneficenza. Ora è tempo per le religioni di uscire da loro stesse e farsi capire dalla gente, condividere i suoi drammi, accompagnarla nella pratica della giustizia e della fraternità. Di uscire dal pensiero di un Dio imbalsamato per un Dio della vita come lo fu per Abramo, padre della fede in un unico Dio condivisa da ebrei, musulmani e cristiani. Non ha più senso per religioni con la stessa radice in un Dio unico continuare a combattersi o a coprire e benedire conflitti. Basta guerre, basta terrorismo, basta egoismi. La campana di Francesco annuncia il tempo della fraternità. Che bisogna volere e costruire. E come la pace non è scontata. Il bilancio del viaggio papale ha portato chiarezza spazzando l’ipocrisia che aleggia da decenni sulla questione mediorientale. La pace e la fraternità sono difficili perché gli interessi economici in gioco sono altissimi. Il profumo del petrolio continua ad attirare più della giustizia e della pace. Perciò il papa ha voluto indicare alla sua Chiesa anzitutto, ma a tutti i credenti, da che parte stare in fedeltà alla fede liberata dagli interessi. Chiesa in uscita in Medio Oriente, religioni monoteiste in uscita sono intese da Bergoglio come religioni per l’uomo, in fedeltà alle proprie radici di patto con un Dio misericordioso e non vendicativo. Se ne ha conferma spigolando tra i suoi discorsi, non tanti, ma tutti importanti e mirati.
“Non possiamo tacere”
“Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre Abramo – si legge nelle parole pronunciate durante l’incontro interreligioso nella piana di Ur – affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione. Anzi, sta a noi dissolvere con chiarezza i fraintendimenti”. “Prima di pregare per tutte le vittime della guerra in questa città di Mosul, in Iraq e nell’intero Medio Oriente – ha chiarito Francesco – vorrei condividere con voi questi pensieri: Se Dio è il Dio della vita – e lo è –, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è –, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è –, a noi non è lecito odiare i fratelli”. Anziché la bandiera nera del terrorismo feroce, Francesco ha sventolato la bandiera arcobaleno, portando vicinanza affettuosa e parole curative delle ferite difficili da rimarginare. Ovunque segni “del potere distruttivo della violenza, dell’odio e della guerra. Quante cose sono state distrutte! E quanto dev’essere ricostruito! Questo nostro incontro – ha detto alla comunità cattolica di Qaraqosh – dimostra che il terrorismo e la morte non hanno mai l’ultima parola”. Rifiuto della violenza sostenuto dalla speranza. “L’ultima parola – ha garantito Francesco – appartiene a Dio e al suo Figlio, vincitore del peccato e della morte. Anche in mezzo alle devastazioni del terrorismo e della guerra, possiamo vedere, con gli occhi della fede, il trionfo della vita sulla morte. Avete davanti a voi l’esempio dei vostri padri e delle vostre madri nella fede, che hanno adorato e lodato Dio in questo luogo. Hanno perseverato con ferma speranza nel loro cammino terreno, confidando in Dio che non delude mai e che sempre ci sostiene con la sua grazia. La grande eredità spirituale che ci hanno lasciato continua a vivere in voi. Abbracciate questa eredità! Questa eredità è la vostra forza! Adesso è il momento di ricostruire e ricominciare, affidandosi alla grazia di Dio, che guida le sorti di ogni uomo e di tutti i popoli. Non siete soli! La Chiesa intera vi è vicina, con la preghiera e la carità concreta. E in questa regione tanti vi hanno aperto le porte nel momento del bisogno”.
Perdono necessario
La sostanza dell’impegno proposto per la ricostruzione richiede una rinnovata fede cristiana richiede una conversione civile ovunque: “Oggi – ha detto sulla piazza della chiesa di Mosul nella preghiera perle vittime della guerra – malgrado tutto, riaffermiamo la nostra convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra. Questa convinzione parla con voce più eloquente di quella dell’odio e della violenza; e mai potrà essere soffocata nel sangue versato da coloro che pervertono il nome di Dio percorrendo strade di distruzione”. Primo passo del nuovo corso è il perdono. “Il perdono – ha rimarcato – è necessario per rimanere nell’amore, per rimanere cristiani. La strada per una piena guarigione potrebbe essere ancora lunga, ma vi chiedo, per favore, di non scoraggiarvi. Ci vuole capacità di perdonare e, nello stesso tempo, coraggio di lottare. So che questo è molto difficile. Ma crediamo che Dio può portare la pace in questa terra. Noi confidiamo in Lui e, insieme a tutte le persone di buona volontà, diciamo “no” al terrorismo e alla strumentalizzazione della religione”. Il seme di una svolta concreta in Iraq è stato posto nell’incontro a Najaf di Francesco con il Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani, leader della comunità sciita, maggioritaria nel Paese. La concretezza dell’incontro – peraltro anche molto cordiale – è fuori dubbio dal momento che la questione palestinese viene evocata nelle note pubbliche conclusive del colloquio. Una questione perduta nel chiaroscuro dei rapporti internazionali dopo gli Accordi di Abramo tra Riad e Israele. Ma l’incontro in prospettiva segnerà un miglioramento generale tra cristianesimo e islam dopo la Dichiarazione di Abu Dhabi sulla fraternità. Si parla già che esponenti sciiti iracheni intendano recarsi in Vaticano.
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