Consumata giovanissima (24 anni) da una devastante tubercolosi, la sera del 30 settembre Teresa, monaca carmelitana di clausura, stringendo il Crocifisso sospirò a fatica: “Oh! lo amo…mio Dio ti amo!”. Reclinò il capo e spirò. L’ultima parola suggellò una coerente missione scelta fin dall’adolescenza. “La Carità – ella scrive nella lettera del Manoscritto B sulla sua vita – mi diede la chiave della mia vocazione. Capii che se la Chiesa aveva un corpo, composto da diverse membra, il più necessario, il più nobile di tutti non le mancava: capii che la Chiesa aveva un cuore e che questo cuore era acceso d’Amore. Capii che solo l’Amore faceva agire le membra della Chiesa: che se l’Amore si dovesse spegnere, gli Apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i Martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue… Capii che l’Amore racchiudeva tutte le vocazioni, che l’amore era tutto, che abbracciava tutti i tempi e tutti i luoghi!… Insomma, che è eterno. Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante ho esclamato: O Gesù mio Amore… la mia vocazione l’ho trovata finalmente! La mia vocazione è l’Amore. Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa e questo posto, o mio Dio, sei tu che me lo hai dato: nel cuore della Chiesa mia Madre sarò l’Amore… Così sarò tutto, così il mio sogno sarà realizzato!!!”.
Il primato dell’amore
Non poteva sapere allora la giovane carmelitana dalla salute cagionevole, entrata con deroga speciale a 15 anni in monastero che, scegliendo l’amore come centro della sua vita, anticipava di cento anni il ritorno ufficiale della Chiesa cattolica al Vangelo. Ci sarebbe voluto un concilio e sei papi dopo, per allinearsi a quella intuizione che era parsa scontata a una ragazza di Normandia. Ora nella Chiesa è tornato normale preoccuparsi del primato dell’amore. Se poi sarà praticato, l’amore la trasformerà come fu per la vita di Teresa. Se Dio è amore, la fratellanza diventa un segno distintivo che può cambiare la storia. Amare è identificarsi più che si può con l’Amore. C’è voluto il dolore e l’amore di una giovane donna per seminare la svolta millenaria nella Chiesa. La maturità di Teresa nell’indagare l’amore è stupefacente. Dalla clausura la sua anima spaziava per il mondo tanto che, dopo morte, venne proclamata patrona delle missioni.
Il nome di Gesù
Tra le pagine affascinanti della “Storia di un’anima”, spiccano 266 Lettere autografe, dai brevi biglietti degli 8 anni alla crescente capacità introspettiva degli ultimi mesi di vita. Tutta la corrispondenza di Teresa ruota intorno all’amore, è certificazione d’amore come chiave di una vita senza rimpianti, da innamorata, con in testa un’unica sorgente di amore trasformativa di ogni gesto e respiro di una giovane vivace, alle prese di una salute sempre precaria. Le Lettere sono la casa di vetro di come ama una santa. Cent’anni esatti dopo la morte, è stata proclamata dalla Chiesa Dottore della carità, intesa come pratica di amore per Dio e per il prossimo. Questo titolo onorifico di riconosciuta sapienza finora è attribuito a 37 maschi e solo 4 donne. Il nome dietro al quale Teresa ha perso la testa è quello di Gesù. Non un fantasioso principe azzurro, ma il Gesù vivo dei Vangeli ha dato significato cosciente a ogni attimo della sua breve esistenza. Teresa, crescendo, ha affinato l’arte di amare. “Lasciamoci indorare dal sole del suo amore. Questo sole – confidava alla sorella Celina – è bruciante: consumiamoci d’amore”. Linguaggio di una donna innamorata, ma resta padrona della sua vita che guida a comprenderlo liberato dalle banalità dominanti: c’è molto cuore, calore, passione. Teresa del Bambino Gesù ha lasciato in eredità un caso serio sull’amore. “Non crediamo di poter amare senza soffrire” ha scritto. “Non mi pento di essermi consegnata all’Amore” confidò morente. Aggiungendo: “Mai avrei creduto che fosse possibile soffrire tanto!”. Aveva scrutato presto il valore dell’amore che “move il sole e l’altre stelle”. E ha creduto all’amore.