Vita combattuta, spezzata tra il voler essere e la costrizione quella di Ludwig van Beethoven, aggrappata alla nave misteriosa della musica che solca mari inesplorati tra iceberg di paradossali fragilità. Il genio colpito da sordità che riversa nella musica l’irruenza della libertà prigioniera dell’handicap. Questo e altro trasmettono le sue 1600 Lettere, quasi nessuna epica al pari delle sue sinfonie e romantiche sonate. Svelano, però, il lato fragile di un genio a volte aspro, impaziente, debilitato da cure amministrative, senza le quali apparirebbe conturbante creatore di sogni nella comune quotidianità.
Lettere “mortali”
Nel pentagramma, le dissonanze diventano armonie, le note svelano parole non dette di nostalgia, rapimento interiore, quiete, amore, spiritualità e sensualità. Il sordo Beethoven ode armonie precluse alla più parte dei mortali. Quanta fatica, invece, a scrivere e lo confessa candidamente: “Io scrivo piuttosto 10.000 note che una lettera dell’alfabeto”. Ma è grazie alle sue Lettere che possiamo considerarlo un umano che, in definitiva, significa mortale, attratto dall’infinito e ingabbiato dal limite. È così che le Lettere di Beethoven, disseminate di dissonanze esistenziali piuttosto che di armoniose sinfonie, rivelano il carattere, raccontano disabilità, sudore, guizzi d’amore. Non cantano la tragica grandezza dell’esistenza umana nella tempesta come riesce con la musica, piuttosto il grigiore nascosto nella quotidiana condizione umana. Noi posteri non ci stanchiamo dell’Eroica, del Destino, della Pastorale, della Corale nomi che identificano le più amate tra le sue 9 sinfonie. L’anima trasale per la Patetica, il Chiaro di luna, la Tempesta, l’Appassionata, nomi di celebrate sonate beethoviane. Rari i bagliori di analoga genialità nelle Lettere. Rivelatrici della sua intima umanità ribelle e solitaria.
Il “demone geloso”
“Al ritmo cui ora compongo – scrive a Franz Wegeler svelandogli l’angosciosa scoperta della sordità – produco spesso tre o quattro opere contemporaneamente. Ma quel demone geloso, la mia pessima salute, mi ha messo un bastone fra le ruote; e il risultato è che il mio udito, negli ultimi tre anni, è diventato sempre più debole… le orecchie continuano a fischiare a ronzare. Da quasi due anni ho smesso di prender parte a qualsiasi attività sociale perché mi è impossibile dire alla gente: sono sordo. Se la mia professione fosse un’altra, ma nel mio caso è un terribile ostacolo… Dio solo sa che cosa sarà di me. Già ho maledetto più volte il mio creatore e la mia esistenza. Plutarco mi ha insegnato la via della rassegnazione. Se sarà possibile sfiderò il mio destino, anche se credo che finché vivrò vi saranno momenti in cui sarò la più infelice creatura di Dio”.
Come un vecchio bambino
Beethoven si scopre lottatore: “Afferrerò il fato per la gola; non riuscirà certo a piegarmi e a schiacciarmi completamente”. E fu di parola. Anni dopo, quasi prossimo alla morte scriveva: “Spero di dare ancora al mondo qualche grande opera e poi di concludere il mio corso terreno da qualche parte, come un vecchio bambino”. E genio bambino, sognatore fanciullesco fu anche in amore. Lo testifica all’Amata immortale, una delle lettere più famose della storia, con destinataria misteriosa.
La lettera mai spedita
“Possibile – vi si legge – che il nostro amore persista non altrimenti che tra sacrifici, non altrimenti che senza chiedere alcunché? Come puoi cambiarlo tu che non sei interamente mia, io che non sono interamente tuo?… L’amore esige tutto e a buon diritto, così è per me con te, per te con me… Ho il cuore pieno di cose da dirti – oh, vi sono dei momenti in cui scopro che la parola è assolutamente nulla. Rasserenati: il mio vero e unico tesoro, il mio tutto, come sono io per te. Il resto, ciò che dev’essere per noi e che sarà, saranno gli dei a deciderlo… Già a letto le mie idee volano verso di te, mia Amata immortale, ora gioiosamente, ora di nuovo tristemente, in attesa del Fato, se ci ascolterà. Posso vivere soltanto insieme a te o per niente”. Ironia della sorte: questa lettera non fu mai spedita.