Nadia Terranova, siciliana di Messina, romana d’adozione, è una delle autrici di romanzi più interessanti delle ultime generazioni. Annie Arnaux, narratrice di culto, ha affermato che la sua scrittura “sconvolge per la sua precisione e sensibilità”. Finalista al Premio Strega 2019 con “Addio fantasmi” (Einaudi), ha pubblicato anche storie per ragazzi, come “Il segreto” (Mondadori) illustrato da Marta Cerri. I suoi libri sono stati tradotti e pubblicati in molti Paesi.
Scambio epistolare
La Terranova ha scoperto la propria vocazione precoce come scrittrice di lettere: “A quattro anni i miei genitori si sono separati – racconta – Mio padre è entrato in una comunità di recupero, era sempre via. Così gli scrivevo delle lettere. All’inizio le dettavo a mia madre, e lei mi leggeva le risposte”. Ma Nadia si accorse che la mamma ometteva artatamente delle parti, nascondendole delle cose. Allora ha iniziato a leggerle da sola, “per tutta l’infanzia”, come confida con voce emozionata. “Non ho fatto altro che scrivergli delle lettere. Lo intrattenevo, E’ stato un grande esercizio di scrittura”. Già piccolissima usava le armi della finzione per divertirlo: “Cercavo di raccontare cose che lo rassicurassero. Quando rileggo quegli scritti, sento proprio la mia volontà di farlo ridere, oppure di commuoverlo”.
Dalle lettere ai romanzi
Quelle lettere della vita vera poi si sono trasferite, “romanzate”, nel suo libro d’esordio, “Gli anni al contrario”. Il romanzo, che l’ha rivelata come una delle promesse (poi ampiamente mantenute) della nuova narrativa italiana, è nato da una memoria intima, la storia della sua famiglia, di un padre e di una madre che si incontrano giovanissimi nelle rivolte giovanili degli Anni ’70, epoca di grandi ideali ma anche di droga e di piombo. Sono proprio le lettere struggenti che nella finzione romanzesca si scrivono un padre e una figlia, Giovanni e Mara. “Ormai non si scrivono più, ma i romanzi epistolari mi piacciono – confessa con entusiasmo Nadia Terranova – hanno un gusto novecentesco. Quando ho scritto quel libro, era il primo decennio del 2000, e ho deciso di usare la verosimiglianza di quelle missive, erano gli ultimi anni in cui la gente si scriveva”.
“Piccoli romanzi delle vite”
Chiama le lettere “piccoli romanzi delle vite”, e i suoi romanzi “delle lettere a qualcuno”. Conservano, infatti, la profonda intimità dei sentimenti puri, a volte inconfessabili, e di quella pratica gli resta lo scrivere a penna – “prendo appunti, annoto su carta”. Quelle che ama di più sono quelle spedite dai suoi lettori più affezionati: “Mi sanno di verità quando dicono che ho scritto una cosa importante o raccontano di loro. Mi rassicurano, penso che io abbia fatto un buon lavoro”. Le lettere sono anche momenti di comunicazioni dolorose, liberatorie, come quella ricevuta da un suo amico omosessuale: “Lo confessava a me perché secondo lui l’avevo sempre saputo, e poi perché non si sarebbe sentito giudicato”.
L’amore per i libri di carteggi
Ma Nadia Terranova è anche una grande lettrice di epistolari. “Ho un intero scaffale della mia libreria con libri di carteggi”, e cita “Tra amiche” di Hannah Arendt e Mary McCarthy, “Viaggio in Europa” di Tomasi di Lampedusa, e poi quelle tra Pavese e la poetessa Bianca Garufi, “Una bellissima coppia discorde” – “amoreggiavano ma era un legame morboso, che non portò a nulla”. Dice che anche le dediche sui libri hanno mantenuto questo aspetto di comunicazione intima, da cuore a cuore: “Certi romanzi sono una lunga lettera, la storia della letteratura se ci pensi è una lunga epistola”.