Mentre conversiamo di scrittura Edoardo Albinati sta pedalando sulla cyclette, sento il respiro lievemente in affanno, l’autore de “La scuola cattolica” (Rizzoli), vincitore del Premio Strega 2016, l’insegnante di Rebibbia e autore del bellissimo “Maggio selvaggio”, è uno che ha il record di aver perso molta della corrispondenza ricevuta, o almeno di non averla conservata, “traslochi”, dice, “il divorzio, è bruciata la casa, ho smarrito molte cose”. E cita contro se stesso una frase di un personaggio di un romanzo di Iris Murdoch: “Un uomo che non conserva la corrispondenza è come cera nelle mani di chi invece lo fa”. Dice “se le avessi conservate potrei confermare o smentire molte cose, oggi non posso più farlo”.
Quei flirt del passato
Ma di corrispondenze ne ha avute, “qualche lettera intellettuale, alle fidanzate o quelle che speravo lo fossero,” sostiene mentre immagino stia continuando a pedalare in una camera da letto ampia e luminosa, “ho avuto un carteggio con Franco Fortini, il nostro rapporto è finito male, potrei ricostruirlo attraverso le lettere, se ancora le avessi”, poi a diciassette anni con la prima fidanzata, che viveva a Monfalcone, “ci siamo scritti parecchio”, confessa, ma non ricorda neanche una frase di quelle corrispondenze amorose. Però gli sono sempre piaciute le buste, “era una grande emozione riceverle, soprattutto quelle di Posta aerea, “le buste internazionali con il bordo multicolore”. Erano il frutto di flirt vacanzieri, quelle che chiama “storie estive”, cioè “scambi con ragazze che mesi dopo scrivevano dalla Germania, dagli Stati Uniti, dalla Spagna”, confessa.
Scrivere su carta intestata
Con un altro grande intellettuale, Cesare Garboli, critico e consulente editoriale raffinatissimo, si scriveva cartoline postali: “I suoi erano messaggi condensati in uno spazio minimo, da lui ho imparato a scrivere cose brevi, senza dilungarsi. Quelle di Garboli, o anche di Fortini, erano molto belle visivamente, esercizi di stile anche calligrafico, molto ordinate”. La scrittura è tutto per Albinati. Quando era redattore a “Nuovi Argomenti”, fondata e diretta per anni da Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini, scriveva a macchina sulla carta intestata della rivista, “cancellavo la scritta Direttore, che era Enzo Siciliano, barrandola, e rispondevo a chi aveva inviato poesie, oppure dei racconti. Si trattava quasi sempre di rifiuti. Ricordo anche quelle scambiate con Leonardo Sciascia, che era molto laconico…”. Uno degli autori rifiutati lo conobbe poi a New York, Piero Pedace, purtroppo scomparso prematuramente, fondatore a Roma della prima scuola di scrittura italiana, la “Omero”.
Albinati e la scrittura
Una lettera che nomina con orgoglio è quella di Mario Spagnol, editore di Longanesi, “scriveva che avrebbero pubblicato il mio primo libro, ‘Arabeschi della vita morale’, la ricordo con grande piacere, chissà se ce l’ho ancora”; o il bustone con dentro il diploma di Cavaliere della Repubblica, “formato extra”, dice, “non capivo cosa fosse, non ne sapevo nulla”. Quando conduceva “Spazio3” alla radio ne arrivavano diverse in redazione, “insulti di melomani perché sbagliavo la pronuncia di compositori ungheresi o dei direttori d’orchestra, somaro, studia! dicevano” Altre dai lettori, oppure da ex carcerati, “biglietti o lettere dalla galera, oppure dall’estero di miei ex studenti di Rebibbia, messaggi di memoria per le ore passate insieme, umane, interessanti”. Lui risponde molto brevemente, con cortesia.
La scrittura come finzione
Albinati e la scrittura. È più imbarazzato a parlare di quel “paio di matte” che gli hanno scritto lettere deliranti, con “innamoramenti paranoici, tutti fantasticati”, perché “come ogni discorso non fatto in presenza fisica, scrivendo si crea un’infatuazione fulminante che è lo stesso linguaggio a produrre”, insomma, una vera e propria finzione.