Padre Fortunato (Rivista San Francesco): difficoltà e bisogni della gente si confidano con una lettera

Lo scorso 8 giugno, su Rai1, è stato presentato il francobollo di Poste Italiane dedicato al centenario della pubblicazione della Rivista San Francesco, che si è celebrato nel 2020. In diretta durante l’edizione numero 19 di “Con il cuore nel nome di Francesco”, annuale appuntamento benefico organizzato dai Francescani, era stato Padre Enzo Fortunato, direttore del mensile, a raccontarne la genesi. A distanza di qualche settimana lo abbiamo intervistato, per parlare di comunicazione, di nuovi media, del ruolo della Chiesa nel mondo dell’informazione e anche di questo omaggio filatelico.

Padre Enzo, il vostro mensile ha da poco compiuto 100 anni. È un risultato straordinario, perché i problemi recenti che hanno investito l’editoria e la stampa in questi ultimi anni non hanno certo risparmiato quella religiosa.

“Si può parlare di un mezzo miracolo, perché la rivista è forse l’unica – non solo nel mondo religioso – che sta avendo una crescita esponenziale. Siamo passati da 13 mila a oltre 100mila copie. È stato un crescendo di anno in anno, ed è evidente che questo sia accaduto grazie allo sforzo di una intera redazione, giovane, capace di mettere in discussione quello che non andava e di suscitare, dalla tradizione, tutto ciò che di buono, di bello e di vero poteva proporsi ai lettori”.

Come è andato questo imprevedibile periodo pandemico? È vero che i vostri abbonamenti sono addirittura aumentati?

“Sì, è vero. Durante la pandemia abbiamo avuto un crescendo di richieste attraverso la mia pagina Facebook. Abbiamo anche vissuto un dialogo letterale con una rubrica, ‘Buonasera, brava gente’, che prende spunto dal primo saluto di Francesco quando incontrava le persone. Siamo passati da poche decine di persone a una permanenza fissa di oltre 2.700 in diretta, e ogni sera”.

Visto che parliamo di un anniversario, per giunta a cifra tonda, possiamo guardare un po’ al passato. Con che spirito avete affrontato la rivoluzione del digitale e in quale modo guardate al vostro futuro editoriale?

“Uno guarda al futuro alla luce di una grande domanda, quella richiesta di spiritualità che molti davano come dimenticata. È questa è una sfida non solo alla società ma anche al mondo ecclesiale, che spesso si pone in atteggiamento manageriale o di poco tempo da dedicare all’ascolto. Invece, le persone stanno manifestando il desiderio di essere ascoltate”.

I cento anni sono stati celebrati anche con un francobollo di Poste Italiane, che proprio lei ha presentato in prima serata su Rai1, in un momento di fatto laico.

“Noi dobbiamo porre la domanda religiosa al mondo laico. In questi anni – in cui non dobbiamo dimenticare di aver vissuto una crisi economica – ci sono arrivate migliaia di lettere di persone che hanno manifestato il bisogno di essere aiutate, non solo in modo concreto. La cosa che mi ha colpito è che tante di queste lettere erano e sono scritte a modo. E anche a questo è legato il pensiero della richiesta di un francobollo”.

Quel francobollo è stato inserito in una serie che si chiama “Il senso civico”, in cui ci sono francobolli che celebrano la Chiesa, ma anche lo Stato, l’Unicef, la lotta alla mafia, Telethon, per citarne solo alcuni. Oggi si sente un richiamo particolare al civismo, e la campagna vaccinale lo ha amplificato: per raggiungere un benessere comunitario occorre collaborazione e fiducia nell’altro. Ma la nostra società lo ha compreso?

“Leggo due segnali, contrapposti. Vedo un fiume di bene, di generosità e attenzione all’altro. E lo dicono anche i segnali della raccolta fondi per i poveri dell’anno scorso e di quest’anno, che hanno superato di gran lunga quelle delle edizioni passate. Dall’altro, vedo gente esprime rabbia e aggressività, e indirettamente ci dice che soffre. Dobbiamo essere in grado di sapere leggere questi segnali. E per entrambi i segnali la strada da percorrere è la collaborazione, del camminare insieme”.

Notizie che corrono sui social, fake news, ci metto anche una comunicazione a volte sopra le righe da parte di alcuni colleghi, sia nelle titolazioni che nei contenuti. Qual può essere il ruolo della Chiesa in questo nuovo assetto comunicativo.

“L’indicazione che Francesco ha dato nel suo ultimo messaggio agli uomini e alle donne che si occupano di media è di consumare le suole delle scarpe. Significa che l’informazione è chiamata ad andare a incontrare e ascoltare, e non a generare una comunicazione fatta di notizie fotocopia, a volte anche non verificate”.

Quando apprende di una fake news, si indigna più come uomo di Chiesa o come giornalista?

“Direi entrambe, come individuo”.

Il vostro San Francesco ha utilizzato la comunicazione come strumento di condivisione. In fondo è stato un precursore dei social media?

“Certo. Io penso all’atteggiamento che Francesco ha avuto nel 1200, mettendo in atto una comunicazione ‘volgare’, abbandonando la lingua latina, solo per pochi e incomprensibile ai molti. Pensiamo, ad esempio, al Cantico delle creature o alle Ammonizioni, che sono alla base della nostra lingua italiana. Io credo che Francesco ci abbia detto da una parte l’importanza e la necessità che la comunicazione raggiunga il cuore delle persone; dall’altra, accorgendosi che la maggior parte delle persone era nelle piazze, e spostandosi dalle chiese alle piazze, ci abbia detto che la Chiesa è chiamata a stare a dove sta l’uomo. E quindi, oggi, anche nelle nuove piazze mediatiche”.