“Quale altra occasione potremmo aspettarci più favorevole di questa che una sorte divina ora ci mette dinanzi?”. L’interrogativo che si trova nella Settima Lettera di Platone e che lo convinse a fare un lungo viaggio a Siracusa per creare un governo di saggi filosofi a beneficio della città è di straordinaria attualità. Il Covid-19 con le sue devastazioni sociali tuttora in corso e i sussidi economici europei a portata di mano, sono diventati il kairòs (tempo opportuno) per fare dell’Italia un Paese migliore.
La saggezza come guida
La Settima Lettera del più famoso allievo di Socrate sulla rilevanza sociale della filosofia al fine di un buon governo e di una società vivibile e felice, può suggerire equilibrati pensieri per fare cose giuste mai fatte finora. Osare fuori dagli schemi inveterati. Anziché studiare il modo di trarne benefici per se stessi e la propria parte, aprire una fase nuova per discutere insieme e lealmente sul che fare e come ridisegnare la città e l’intero Paese per un salto concreto nella giustizia e nella solidarietà. Riuscirvi, secondo Platone, richiede non solo conoscenza della realtà e della storia, ma anche la volontà di farsi guidare dalla saggezza filosofica. Una visione dell’esistenza vissuta nella rettitudine. Alla maniera di Socrate che per la sua coerenza con la coscienza accettò di essere messo a morte dal governo della sua città.
Filosofia e buon governo
Il cambio sociale duraturo è possibile se cambia in meglio la vita individuale, liberata dalla schiavitù di interessi particolari e dei piaceri materiali. Nella Settima Lettera Platone individua nel Kairòs, nell’occasione propizia, irripetibile, l’opportunità di uno sviluppo umano complessivo. Accade quando avviene una saldatura tra il filosofare e l’agire politico. La filosofia, infatti, è una regola di vita validata dalla ragione che pensa alla luce della realtà piena dell’uomo, mai ridotta a pura materialità.
Potere ai filosofi
“Ad un certo punto – racconta Platone nella discussa ma appassionante Settima – mi feci l’idea che tutte le città soggiacevano a un cattivo governo, in quanto le loro leggi, senza un intervento straordinario e una buona dose di fortuna, si trovavano in condizioni pressoché disperate. In tal modo, a lode della buona filosofia, fui costretto ad ammettere che solo da essa viene il criterio per discernere il giusto nel suo complesso, sia a livello pubblico che privato. I mali, dunque, non avrebbero mai lasciato l’umanità finché una generazione di filosofi veri e sinceri non fosse assurta alle somme cariche dello Stato, oppure finché la classe dominante negli Stati, per un qualche intervento divino, non si fosse essa stessa votata alla filosofia”.
Un cambiamento necessario
Non basta, però, fermarsi al pensiero universale se poi non si scende nelle concrete esistenze. E il filosofo, subito dopo sbarcato a Siracusa, si rese conto che nulla poteva cambiare se prima non si cambiasse il pernicioso modello formativo centrato sull’egoismo e il divertimento. “Una volta arrivato, – si legge nelle prime pagine della Settima Lettera – non mi piacque affatto la cosiddetta dolce vita, fatta tutta di banchetti italioti e siracusani, di una esistenza passata a riempirsi due volte al giorno, mai soli la notte, con tutto quel che segue ad una tale condotta”.
Divenire saggi e morigerati
“Il fatto è che a partire da una condotta e da tali inveterate abitudini nessun uomo che viva sotto il cielo potrebbe divenire saggio né sperare di divenire morigerato – e dove lo troverebbe un temperamento di natura così straordinaria?- : e lo stesso discorso può ripetersi per le altre virtù – prosegue – Né c’è legge che possa assicurare la pace ad uno Stato i cui cittadini si credono in dovere di dilapidare ogni sostanza in spese pazze, e stimando quasi un obbligo l’ozio, interrotto solamente da banchetti, libagioni e piaceri d’amore. È evidente che tali città siano coinvolte in una continua sequela di tirannidi, oligarchie, democrazie, i cui capi non vorranno neppure sentir parlare di una costituzione giusta ed equilibrata”.