Lettere nella storia: sul fronte tra pace e guerra

“Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie”.

Si tratta di soldati della prima Grande Guerra, della loro estrema precarietà vissuta da Giuseppe Ungaretti che questi versi brucianti sulla fragilità umana scrisse tra un assalto e l’altro nel fango delle trincee, camminamenti di vite pericolanti, ripari dal fuoco nemico, case del provvisorio ove esaltarsi e disperarsi. Dalla poesia e dalla letteratura sappiamo parecchio della Grande Guerra che ha rivoltato la società italiana come un aratro, trasformandola. Centri postali ingolfati di posta come mai più. Lettere attese con l’ansia di un numero vincente nella tombola, cariche delle speranze di non morire, del desiderio di tornare alle persone amate, rivelatrici dello scrupolo nell’essere responsabili nel dovere di combattere. Storie di feriti, malati, prigionieri, sogni fatti nella consapevolezza di venir cancellati in un soffio di malasorte. Lettere censurate, scritte a tutte le ore del giorno, nella quiete ansiosa della trincea tra un assalto e l’altro contro il nemico barricato nelle proprie trincee.

Un anno sull’Altopiano

Chi non ricorda le acri passioni di Un anno sull’Altopiano di Emilio Lussu, anche lui tritato nella voragine dell’immane conflitto: “Sentivo – narra nel singolare romanzo di una memoria indelebile – delle ondate di follia avvicinarsi e sparire. A tratti, sentivo il cervello sciaguattare nella scatola cranica, come l’acqua agitata in una bottiglia”. “Uccidersi senza conoscersi, senza neppure vedersi! È orribile! È per questo che ci ubriachiamo tutti, da una parte e dall’altra”. “Hanno verniciato la stessa nostra vita, vi hanno stampigliato sopra il nome della patria e ci conducono al massacro come delle pecore”.

La grandezza letteraria

Molto di più, tuttavia, conosciamo sulla Grande Guerra impastata di eroismi e vigliaccheria dalle lettere dal fronte. Tra Lettere e cartoline dal fronte se ne contano oltre 4 miliardi. Cifra incredibile che nessun studioso, da solo, potrà mai evadere. Rimangono le carte tuttora più umane e necessarie per farsi un’idea della devastazione del primo grande conflitto di guerra moderna, impastata di passioni e ferite inguaribili, vite spezzate, rovesciate, anime raschiate fino all’inverosimile dall’angoscia e preda della tentazione di liberarsi dall’orrido quotidiano ricorrendo al suicidio. Grandezza letteraria imprevedibile ma presente perfino nelle pagine vergate a matita da semianalfabeti o scritte da un amico per dare forma ai sentimenti più intimi di analfabeti.

La guerra infinita

Corrispondenze sterminate, in gran numero mai giunte ai destinatari, ma degne di stare accanto alle migliori espressioni letterarie. Capaci di esprimere a nudo il sentire genuino degli italiani più di inchieste e indagini sociologiche. Le lettere veicolano un crescente pensiero di patria come appartenenza comune, un senso di vivere un evento memorabile e terribile. “Se la trincea è dura, l’assalto è un incubo, – scrive un sergente maggiore – lasciare la trincea è lanciarsi nel vuoto, verso le armi che sputano fuoco è un suicidio”. E uno tra i milioni di combattenti: “Senti mamma, io sarò forse pessimista, ma mi pare che la guerra la facciano i coglioni e che i furbi siano con la pelle al sicuro, facciano i denari, si divertano e… enormità, gridano ancora gli evviva alla guerra”. Scrive un altro soldato: “Non me la credevo così. Ho sempre pazientato ma è già un po’ di giorni che mi auguro la malattia di mia moglie e morire in vece sua. Mi son sempre fatto coraggio; ma si vede proprio che questa guerra non finisce mai, e non ho mai detto a nessuno quello che si soffre ma si soffre tanto”.