Al Prefetto Vittorio Rizzi, vice capo della Polizia di Stato, è affidata la Direzione centrale della Polizia criminale. Rizzi si occupa della nostra sicurezza e recentemente ha pubblicato per l’editore Piccin “Investigare 4.0”, dedicato alle nuove frontiere della criminalistica.
Prefetto, dopo la pandemia, è tornata la stessa criminalità che conoscevamo prima? O qualcosa è cambiato, come ad esempio le rotte del narcotraffico o l’organizzazione urbana dello spaccio?
“La pandemia è stata un evento imprevisto e imprevedibile che ha inevitabilmente avuto delle conseguenze anche nelle dinamiche relazionali e sociali. È cambiato tutto. Questo cambiamento riguarda anche il mondo della criminalità, che si è dimostrata molto resiliente, con grande capacità di adattamento a una situazione completamente nuova. Noi ovviamente abbiamo seguito l’evoluzione di quanto stava accadendo, grazie a un meccanismo di monitoraggio voluto dalla ministra Lamorgese e di cui siamo i responsabili. Ci siamo concentrati sui rischi di infiltrazione criminale nell’economia legale ma abbiamo tenuto sotto osservazione un po’ tutto, a cominciare dal narcotraffico. La fotografia che ci è stata restituita documenta un andamento molto altalenante legato ai periodi di lockdown, con un calo verticale dei reati nei periodi di chiusura totale. Ma dopo c’è stata una forte ripresa della criminalità”.
Cosa è cambiato nell’organizzazione del narcotraffico?
“Quando, in seguito alla pandemia, sono state chiuse le frontiere e gli aeroporti, anche le rotte del narcotraffico si sono modificate. La cocaina che proviene dal Sud America, o l’eroina che proviene dall’Oriente, hanno dovuto cambiare mezzi di trasporto e tragitti. Le organizzazioni criminali non potevano permettersi un prolungamento dello stoccaggio della merce nelle aree di produzione, con il rischio che la droga venisse intercettata e sequestrato dalle forze di polizia. C’era quindi l’esigenza di liberarsene in fretta. E così, nel momento in cui le frontiere si sono riaperte, i quantitativi medi di droga che hanno cominciato a viaggiare sono stati superiori a quelli che normalmente venivano spediti e da noi intercettati. E dunque nel 2021 abbiamo avuto, soprattutto per quanto riguarda la cocaina un record di sequestri. Peraltro, un 50% di questi sequestri è avvenuto nel porto di Gioia Tauro, a testimonianza delle nuove rotte che il narcotraffico è stato costretto a disegnare: ora il porto calabrese è diventato un hub al servizio non solo del mercato italiano ma anche di quello dei Balcani. Tra le nuove rotte che stiamo monitorando particolarmente rilevanti sono quelle che provengono dall’Africa Sub Orientale, dove abbiamo aperto nuovi uffici e dove il nostro personale collabora con quello delle ambasciate: perché anche e soprattutto sul terreno della sicurezza occorre fare sistema”.
Prima accennava alle infiltrazioni criminali nel tessuto economico. È vero che le mafie – come sempre “liquide” – stanno acquisendo molte imprese in difficoltà?
“Per verificare questo dato abbiamo effettuato un’analisi che ha esaminato le modifiche negli assetti proprietari, in tempo di pandemia, delle aziende alberghiere e di ristorazione in quattro città: Reggo Emilia, Latina, Cosenza e Trapani, nel biennio 2019-2020. Purtroppo, il risultato è stato eloquente: circa il 25% delle persone coinvolte nelle cessioni societarie è risultato in rapporti diretti o indiretti con la criminalità organizzata”.
Lei teme un aumento della conflittualità sociale?
“L’acuirsi delle tensioni sociali è un fenomeno già visibile. Fino ad oggi il governo ha adottato una serie di interventi – dalle moratorie ai prestiti, dai ristori alla cassa integrazione – che hanno consentito di gestire il disagio dovuto alla pandemia. Ma se si dovesse interrompere questo equilibrio, fragile, dovremmo mettere in conto l’emergere della conflittualità”.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza movimenterà un’enorme massa di denaro (222 miliardi) in un periodo di tempo molto breve (sei anni). Ci sono gli strumenti, le risorse e le norme per evitare che tra i beneficiari del Pnrr ci sia la criminalità organizzata?
“Aumentano i volumi di denaro erogato ma noi già dall’inizio della pandemia abbiamo assistito a un costante flusso di denaro pubblico sotto forma di ristori, sostegni, indennizzi eccetera. Tutti strumenti posti in essere dal governo per tamponare l’emergenza. Ora cambia l’entità della massa di denaro, ma le dinamiche e i rischi sono quelli già sperimentati. Abbiamo una normativa molto rigida per fare questo tipo di controlli. Abbiamo gli strumenti, direi un arsenale di strumenti. Ci sono i poteri interdittivi antimafia che la legge riconosce ai Prefetti, c’è la Dia, ci sono i gruppi specializzati presso questa direzione centrale, ci sono il monitoraggio degli appalti, il tracciamento dei flussi finanziari, le segnalazioni delle operazioni sospette. Gli strumenti ci sono ma è evidente che per la resilienza di cui parlavo la criminalità organizzata sicuramente sarà della partita. Peraltro non è un problema solo italiano. E infatti Europol e Commissione europea hanno accolto la nostra proposta di creare un Gruppo di lavoro, allargato ai Capi delle polizie dei 27 Paesi dell’Unione, che consenta di fare un confronto incrociato delle rispettive esperienze. Alla fine si potranno rappresentare al decisore politico le migliori best practice per impedire alla criminalità organizzata di beneficiare dei fondi europei. Questo Gruppo di lavoro si riunirà a Roma il prossimo 21 settembre e l’Italia avrà il compito di guidarlo insieme ad Europol”.
La lotta alla cyber-criminalità è diventata un’emergenza strategica. Non riguarda più solo i reati commessi da singoli individui, ma si estende ai rapporti tra gli Stati. Insieme a terra, mare, aria e spazio, quella digitale è la quinta dimensione in cui si decide la sicurezza. In Italia come siamo attrezzati per affrontare la sfida della cyber-sicurezza?
“Il tema del cyber è estremamente complesso e ha almeno tre distinti risvolti: quello dell’investigazione, quello dell’intelligence e quello della resilienza cybernetica di cui il governo si sta occupando con il lavoro del sottosegretario Franco Gabrielli. Tre profili diversi. Ovviamente come forze di polizia il primo problema è la protezione delle reti e delle infrastrutture critiche, a cominciare da quelle che garantiscono le comunicazioni. Dobbiamo constatare che mentre un tempo il cyber-crime era un fenomeno di nicchia, oggi rischia di diventare di nicchia tutto il resto del crimine. Ormai è avanzatissima la digitalizzazione di tutta la nostra vita: nell’istruzione, nei rapporti con la banca, nel lavoro, nella corrispondenza. Tra un po’ sarà digitalizzata la medicina. Se un tempo dovevo proteggere la casa con le sbarre alle finestre adesso devo immaginare anche una protezione digitale. Su questo terreno noi ci siamo, con personale molto qualificato e soluzioni d’avanguardia. Credo che l’efficienza della Polizia Postale sia ben nota ai lettori di questo giornale”.
E a questo proposito, come valuta il ruolo svolto da Poste Italiane per garantire la coesione sociale?
“Il servizio reso da Poste Italiane – con cui abbiamo molte collaborazioni – è stato paragonato a quello dei Carabinieri e credo che questo sia vero. Per il suo insediamento, la ramificazione della rete e la varietà di servizi garantiti, Poste Italiane ha un’evidente funzione di coesione sociale. Quando un ufficio rimane aperto mentre tutti gli altri chiudono, questo ruolo diventa palese: quell’ufficio ci manda a dire che, nonostante le difficoltà e nonostante il lockdown, la vita continua”.