Lettere nella storia: John Henry Newman, coscienza e libertà

Per molto tempo dimenticato o quasi sconosciuto fuori dall’Inghilterra, John Henry Newman (1801-1890) è stato riscoperto in tutto il suo valore nel 2010 in occasione della sua beatificazione celebrata da Benedetto XVI durante un viaggio apostolico in Gran Bretagna. Una proclamazione singolare dal momento che Newman trascorse metà della sua vita da anglicano e la seconda metà da cattolico. Il modo coerente di vita vissuta in entrambi i due periodi ha contribuito a renderlo credibile e tuttora attuale. Egli è infatti vissuto per la libertà di coscienza e a servizio della verità cercata con umiltà e intensità tutta la vita. Specchio di questa inclinazione alla libertà di coscienza intesa come ascolto della verità cui conformarsi è una sua importante lettera sull’argomento “Lettera al duca di Norfolk”, considerata tra le sue opere maggiori, scritta in un periodo (1874) in cui cresceva la polemica sul papa di Roma dichiarato infallibile dal concilio Vaticano I. Lettera tratta della coscienza e della libertà. È necessario vivere in ascolto della verità anziché delle momentanee passioni sociali, politiche, culturali. Il suo motto cardinalizio – scelto nel 1879 quando papa Leone XIII con la porpora ne riconobbe i grandi meriti e le grandi virtù – fu Cor ad cor loquitur, “il cuore parla al cuore”. Questo motto secondo papa Ratzinger “ci permette di penetrare nella sua comprensione della vita cristiana come chiamata alla santità, sperimentata come l’intenso desiderio del cuore umano di entrare in intima comunione con il Cuore di Dio”.

Un intellettuale sottile e attento

John Henry Newman –ha rivelato lo stesso Benedetto XVI – ha avuto “da tanto tempo un influsso importante nella mia vita e nel mio pensiero, come lo è stato per moltissime persone al di là di queste isole. Il dramma della vita di Newman ci invita ad esaminare le nostre vite, a vederle nel contesto del vasto orizzonte del piano di Dio, e a crescere in comunione con la Chiesa di ogni tempo e di ogni luogo: la Chiesa degli Apostoli, la Chiesa dei martiri, la Chiesa dei santi, la Chiesa che Newman amò e alla cui missione consacrò la propria intera esistenza”. Parole attuali in presenza delle difficoltà di ascolto tra le varie componenti sociali e nella stessa Chiesa. Newman fu un intellettuale sottile e attento ai segni dei tempi della sua epoca dove erano pressanti i rapporti tra fede e ragione, tra potere civile e potere ecclesiastico. Perspicace anche in campo educativo dove riteneva che la formazione intellettuale, la disciplina morale e l’impegno religioso procedessero assieme.

Diritti e doveri

“Quando gli uomini si appellano ai diritti della coscienza – si legge nella celebre Lettera al duca di Norfolk – non intendono assolutamente i diritti del Creatore, né il dovere che, tanto nel pensiero come nell’azione, la creatura ha verso di Lui. Essi intendono il diritto di pensare, parlare, scrivere e agire secondo il proprio giudizio e il proprio umore senza darsi alcun pensiero di Dio. (…) La coscienza ha diritti perché ha doveri; ma al giorno d’oggi, per una buona parte della gente, il diritto e la libertà di coscienza consistono proprio nello sbarazzarsi della coscienza. (…) La coscienza è una severa consigliera, ma in questo secolo è stata rimpiazzata da una contraffazione, di cui i diciotto secoli passati non avevano mai sentito parlare o dalla quale, se ne avessero sentito, non si sarebbero mai lasciati ingannare: è il diritto di agire a proprio piacimento”. John Henry Newman respinge l’accusa che dopo la proclamazione del dogma sull’infallibilità del Papa i cattolici non potrebbero più servire lo Stato come buoni cittadini, in quanto sarebbero obbligati a consegnare la propria coscienza al Papa.

Il sentimento del giusto

Di conseguenza, può scrivere: “Se il vicario di Cristo parlasse contro la coscienza, nell’autentico significato del termine, commetterebbe un suicidio; toglierebbe la base su cui poggiano i suoi piedi. Sua autentica missione è proclamare la legge morale”. Newman afferma: “Il sentimento del giusto e dell’ingiusto, che nella religione è il primo elemento, è così delicato; così irregolare; così facile da confondersi, da essere oscurato, pervertito; così sottile nei suoi metodi di ragionamento; così malleabile dall’educazione; così influenzato dall’orgoglio e dalle passioni; così instabile nel suo corso che, nella lotta per l’esistenza, tra i molteplici esercizi e trionfi della mente umana, questo sentimento è al tempo stesso il più grande e il più oscuro dei maestri”. Per lui “coscienza” significa la capacità di verità dell’uomo: la capacità di riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua esistenza — religione e morale “la” verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la incontra.