Il racconto di cent’anni di storia nel Palazzo delle Poste di Ragusa

C’è qualcosa qui dentro che sembra che ci parli. I mobili e gli oggetti sono ancora gli stessi, come questo grande tavolo su cui si compilavano i moduli e già ampi spazi con i soffitti alti come case, dove può capitare di perderti ascoltando la voce del tempo, lo sfarfallio di una pellicola che comincia a raccontare una storia lontana. Da piazza Matteotti il Palazzo delle Poste di Ragusa si staglia come la classica costruzione fascista, la maestosa facciata in pietra bugnata con nove pilastri, ognuno dei quali sormontato da 9 statue in marmo. Lo costruirono in un batter d’occhio, eppure ci sono voluti più di trent’anni per renderlo finito. E’ che queste mura si portano dietro la narrazione di un’epoca, un piccolo romanzo di provincia come quelli che scriveva Camilleri. Questo Palazzo comincia a vivere nel 1927, un anno dopo la proclamazione della provincia di Ragusa. Come spiega Giorgio Flaccavento, storico dell’arte, esperto di memorie locali, che ci accompagna lungo questo cammino, “il deus ex machina della città era Filippo Pennavaria”, discendente da una nobile e facoltosa famiglia di possidenti terrieri e di banchieri, giovane nazionalista prima e fascistissimo poi, che poteva vantare un rapporto molto stretto con il duce. Per questo lui era capace di fare e disfare quel che gli pareva, ossequiato da scappellamenti e mezzi inchini dovunque andasse in giro per le strade di Ragusa. Fu lui a fare avere la nomina di provincia. Aveva poco più di 30 anni ed era sottosegretario alle Poste quando il ministro era Costanzo Ciano, il padre di Galeazzo, che aveva sposato Edda, la figlia di Mussolini.

L’avvio del progetto

In quell’anno, il 1927, lui affida il progetto all’architetto Francesco Fichera, che proprio allora stava ultimando il Palazzo delle Poste di Catania, in stile eclettico neorinascimentale. A Ragusa dovrà sorgere di fronte al Municipio. Solo che, sottolinea Flaccavento, “i proprietari dei lotti che dovevano essere demoliti per fare spazio al nuovo, imponente edificio, erano personaggi importanti con gli agganci giusti”, e in un paese in cui gli amici degli amici a volte contano più di tutto, l’esproprio andò per le lunghe. Alla fine la disponibilità del terreno arrivò solo nel ‘38. E nel frattempo, i favori di cui godeva Fichera presso Filippo Pennavaria cominciarono a declinare. Il gerarca “aveva un carattere altezzoso e difficile, e poteva permettersi di fare il bello e il brutto tempo come gli pareva”. Pensò bene così di scavalcare tutti e di buttare all’aria qualsiasi progetto, affidando il Palazzo ad Angiolo Mazzoni, ormai divenuto in quegli anni uno dei principi dell’architettura italiana. Mazzoni, dice Flaccavento, “oltre a essere diventato famoso, aveva una capacità camaleontesca di destreggiarsi fra stili diversi, dal futurismo al neoclassicismo, che però fu messa a dura prova dalle pretese di Pennavaria. Presentò quattro progetti e l’esigente gerarca glieli bocciò tutti. Solo il quinto approvò, finalmente. Però ordinò che sopra le colonne fossero poste delle statue, nove statue importanti, quasi gigantesche, per celebrare le provincie della Sicilia e soprattutto quella di Ragusa, e quindi i meriti del suo benefattore, Filippo Pennavaria. “Su qualsiasi testo oggi questo ci sta scritto”, conferma Flaccavento: “Al centro la figura di Ragusa e attorno le altre”. Ma in realtà non è così. “Quella al centro è la statua dell’Europa, rappresentata come una fanciulla in carne, ben messa, con due cornucopie. Le due all’estremità, a destra e a sinistra, rappresentano i continenti. E si vede benissimo: l’Asia ha le perle, l’Africa una zanna d’avorio…”. Alla fine il sospetto è che dopo tanti rifiuti il bolognese Mazzoni fosse riuscito a gabbare l’altezzoso gerarca. Le cose, secondo il nostro storico d’arte, andarono così. Allo scultore Corrado Vigni erano stati affidati dei lavori per il Palazzo delle Poste di La Spezia. E fra questi anche la realizzazione di nove statue, “solo che nelle lotte fra fazioni avverse, prevalse la corrente futurista e quelle statue che non ne interpretavano gli ideali non furono mai posate. Rimasero così nello studio dello scultore”.

Le statue “già pronte”

Poi successe che a Vigni fu affidato il compito di realizzare il monumento ai caduti per il Palazzo di Ragusa e il Mazzoni decide di assegnargli anche le statue da piazzare in cima sopra le colonne. “Ma io le ho già”, rispose il Vigni. “Sono già bell’e pronte. E vanno benissimo”. Così posarono quelle di La Spezia. I lavori del Palazzo iniziarono finalmente nel ‘38, dopo le interminabili trattative per gli espropri e tutti quei progetti bocciati, Nel ‘39 erano completati. Ma la sistemazione della piazza attuale avvenne solo molti anni dopo, quando nel ‘52 fu costruito il Palazzo della Banca d’Italia e nel 1960 la fontana di Carmelo Cappello. In quel periodo fu aggiunto anche un piano, l’ultimo, all’edificio delle Poste. Adesso era davvero finito. Pennavaria, scappato dopo la guerra a San Paolo di Brasile, era tornato a fare il deputato in Italia. C’era riuscito con il partito Monarchico. Poi ci aveva provato con i liberali, per due volte. Ma non ce l’aveva fatta. I tempi cambiano per tutti. Però questo Palazzo continua a parlare di lui. E alla fine è un buon parlare anche se le statue non sono quelle che voleva lui e il truschino devono averglielo fatto di nascosto. Conta il giudizio dello storico d’arte. E lui, Flaccavento, dice che “è un’ottima realizzazione funzionale, in cui architettura, bellezza e burocrazia si fondono stranamente, ma pure mirabilmente”. A modo suo una piccola meraviglia.

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