pio XI

Lo si deve a delle Lettere di autori illustri se quel 28 ottobre 1922 – rimasto indimenticato in Italia per la “Marcia su Roma” di 16 mila squadristi fascisti – si può ricordare anche per eventi e atti di segno diverso, forieri di bene. Nello stesso giorno della “Marcia su Roma” Pio XI, il papa del tempo, in una lettera apostolica chiedeva ai vescovi d’Italia di adoperarsi per superare i “disordini” e ristabilire la pace. “Purtroppo la tanto desiderata tranquillità non è ancora tornata in mezzo al diletto popolo d’Italia, e l’animo Nostro è di nuovo profondamente addolorato alla vista dei mali, ognora più gravi, che ne minacciano il benessere materiale, morale, religioso, ritardando sempre più il risanamento delle profonde ferite, doloroso strascico dei lunghi anni di guerra”.

36 anni dopo

Lettera breve nella quale papa Ratti lanciava un appello vibrante alla fraternità tra tutti gli italiani e chiedeva ai vescovi di esortare “tutti quelli che sono affidati alle vostre cure, a mitigare e, se occorre, a sacrificare pel pubblico bene i propri desideri, ispirandosi ai princìpi cristiani dell’ordine, ed a quei sentimenti di carità, di mansuetudine e di perdono, dei quali il Divino Maestro ha fatto ai suoi fedeli legge suprema”. Appello silenziato dal turbinio degli eventi. Sarebbero trascorsi 36 anni perché un altro 28 ottobre segnasse l’aurora del tutto diversa con l’avvento sulla scena mondiale non di un uomo della provvidenza, ma di un fratello universale. Nel vespro di quel 28 ottobre dal conclave uscì un papa che tutti pensarono di transizione. E invece, nonostante l’età, Giovanni XXIII anziché di transizione, avviò la transizione in un’epoca nuova, mai vista prima. Il figlio di contadini che avrebbe scosso secoli di storia cristiana dalle fondamenta con il concilio Vaticano II. Con toni indimenticabili lo rievoca un carteggio di Loris Francesco Capovilla, morto centenario da cardinale, ma presente quel tardo pomeriggio da semplice e intelligente segretario di Giovanni XXIII.

In dialogo con la modernità

Questo pontefice che maturò da subito l’idea di un concilio di aggiornamento pastorale della Chiesa per metterla in dialogo con la modernità, chiudeva cinque anni di pontificato con la famosa enciclica “Pacem in terris” che scosse i palazzi dei poteri che allora tenevano saldamente il mondo diviso dalla guerra fredda. Il 28 ottobre del 1922 -narrano le cronache del tempo – iniziò il previsto raduno dei fascisti a Foligno, Monterotondo, Santa Marinella e Tivoli; in totale erano presenti circa 16 000 uomini per marciare su Roma; il concentramento durò fino al 29. Alle ore 9 il decreto per lo stato d’assedio fu presentato al re, che rifiutò di firmarlo e Roma fu invasa dalla violenza degli squadristi, accelerando l’incarico a Mussolini di formare il nuovo Governo. Secondo la narrazione della lettera di Capovilla, 50 anni dopo l’evento, la folla dei 300 mila in Piazza san Pietro accorsa dopo la fumata bianca “capì d’intuito che, carico d’anni, il nuovo papa era giovane di mente e di cuore, quasi per un prodigio di natura e portava al soglio di Pietro la ricchezza incommensurabile della famiglia numerosa, la concretezza dei lavori della terra, la sapienza biblica degli avi, le esperienze del Movimento cattolico bergamasco, ed era abilitato a testimoniare religione e devozione, libertà e giustizia, cultura e azione sociale”.

Un “maestro inatteso”

Un “maestro inatteso” e nessuno poteva immaginare quella sera quali cambiamenti sarebbero accaduti. Capovilla cita le confidenze di Angelo Roncalli la prima sera da papa: “Benedissi Roma e il mondo quasi trasognato, e immaginai i mille fari che da quel momento sarebbero stati puntati su di me, e mi dissi: “Se tu non rimani alla scuola del tuo Maestro, che ti vuole mite e umile, non capirai nulla degli eventi del nostro tempo, non vedrai nulla, sarai cieco”. Mi chiamerò Giovanni, nome che nella lunghissima serie dei romani pontefici gode di un primato numerico. Infatti sono ventidue i pontefici di nome Giovanni. Quasi tutti ebbero un breve pontificato. Ho preferito coprire la piccolezza del mio nome dietro questa magnifica successione di romani pontefici”. In altre Lettere Capovilla ripete spesso parole di Giovanni in apertura del concilio: tantum aurora est. È soltanto l’aurora, l’inizio di un mondo che possiamo fare diverso. L’inizio della svolta era stato proprio in quel 28 ottobre non 1922, ma 1958. Nella luce incerta delle 17.