Michele Mirabella, regista, attore, conduttore televisivo e radiofonico, direttore artistico e docente universitario. Ma anche attore, saggista e giornalista. Noto per il suo garbo e la sua professionalità, Mirabella dal 1996 entra nelle case degli italiani dando “ricette” di buona salute con la trasmissione “Elisir” su Rai Tre.
Michele Mirabella, provi a scegliere una delle sue tante professioni e a buttarne una dalla torre.
“Non ne butterei nessuna. E perché mai dovrei pentirmi di quello che ho fatto? Ma al prossimo giro rifarei ancora il regista. Con 32 regie teatrali e 9 liriche, il teatro e l’opera sono le aree a cui sono più legato”.
Lei ha anche insegnato Sociologia della comunicazione… Pensa di essere un bravo comunicatore?
“Se oggi dovessi ritagliarmi un ruolo nel mondo della comunicazione vorrei fare esattamente quello che sto facendo: il divulgatore scientifico. Da giovane non avrei mai immaginato di poterlo fare. Ai tempi degli studi universitari e della passione per il cinema e il teatro, non avrei mai pensato di arrivare un giorno a ricoprire questo ruolo, non potevo immaginare che mi sarei occupato di divulgazione medico-scientifica, eppure è successo e… con successo”.
È dal ’96 che per molti italiani Elisir è un appuntamento irrinunciabile. Perché abbiamo cura di noi stessi o perché abbiamo paura?
“Paura no, perché Elisir ha come punto fermo, da quando è stato inventato, l’educazione medica. Non intendeva fare paura ma anzi aiutare a cogliere un aspetto culturalmente impeccabile, eticamente inevitabile, e cioè che la vita prevede la malattia. Come diceva il mio medico quando ero piccolo: la malattia succede, come ogni cosa nella vita e allora bisogna fare in modo di farci trovare preparati. Curare con tutto il possibile, guarire quando si può, amare sempre. Bisogna sempre amare se si è uomini giusti, come devono essere soprattutto i medici”.
C’è una lettera che le ha cambiato la vita?
“Una lettera no, ma un telegramma sì. Ricordo ancora il volto del postino che me lo recapitò. Era il 1973 e la Rai mi informava che avevo vinto la possibilità di una borsa di studio che mi avrebbe abilitato a seguire un corso di formazione per essere assunto come annunciatore alla Radio italiana”.
Come ha festeggiato?
“Non ho festeggiato, ho cominciato a studiare. E sono stato ammesso al corso”.
Lì è iniziata la sua carriera in Rai.
“Sì, è iniziata da lì. È stato un corso di formazione a tutto campo. La regista che mi seguiva al Cut, Centro Universitario Teatrale di Bari, che frequentavo, mi sollecitava ad imparare anche l’arte del montaggio radiofonico, l’uso delle musiche, insomma l’arte dello spettacolo. E io l’ho fatto”.
Il telegramma ok. Nel suo passato – o nel suo presente – ci sono anche lettere d’amore?
“Purtroppo, ho un senso del ridicolo molto spiccato. Se parliamo di quelle ricevute devo dire che alcune mi facevano ridere, teneramente, pateticamente, ma ridere. Per gli errori di grammatica o per altro. Il cuore batteva forte ma il cervello non superava la prova della lettera d’amore”.
Molto esigente.
“Uno dei generi letterari più pericolosi in assoluto è la lettera d’amore. Se scrivi “ti voglio bene, Maria”, fai un capolavoro. Ma se arzigogoli e parli di tramonti… Rischi di far ridere. Io, se ne ho scritte mi sono subito pentito”.
È corso dietro al postino?
“No, davanti alla ragazza che mi rincorreva”.