In Italia torna Sanremo, mentre mezzo mondo tiene il fiato sospeso in attesa di una svolta liberatoria dalla guerra in Ucraina verso la pace. Non si sa la riuscita dell’edizione alle porte si sa, però, e si ricorda tuttora come andò l’ultimo Festival del XX secolo, il più singolare di tutti perché il presentatore Fabio Fazio chiamò Renato Dulbecco – Nobel per la medicina nel 1975 – a presentarlo con lui. E fu Dulbecco, con la sua insospettabile brillantezza, a sancire la singolarità irripetibile di quel Festival. Fazio presentò lo scienziato con queste parole: “Un uomo coraggioso e curioso, un uomo che nella vita ha fatto tante cose importanti, che non si è mai fermato e che ha solo accettato sfide su sfide. Si è laureato giovanissimo, a 22 anni, ha fatto la campagna di Russia, ha fatto la Resistenza […]. Ha dato un contributo essenziale con la sua ricerca alla scoperta del vaccino contro la poliomielite e i suoi studi sono stati essenziali per la lotta contro il cancro […]. E quest’uomo coraggioso ha accettato anche questa ultima piccola sfida ed è venuto con me sul palco”.
La lettera di Dulbecco
Dulbecco aveva allora 85 anni: sarebbe morto nel febbraio 2012 il giorno prima di compiere 98 anni. Alla fine di quell’anno moriva anche un’altra geniale scienziata, Rita Levi Montalcini, con la quale aveva diviso la gloria del Nobel e un rapporto di affettuosa amicizia. Dulbecco aveva accettato la parentesi canora per devolvere il compenso ai progetti di Telethon sulla ricerca del cancro e borse di studio per far rientrare in Italia giovani scienziati emigrati all’estero. C’è una lettera dello scienziato dedicato alla cura della pace che rende attuale ricordarlo in questa vigilia sanremese. A rivelarla è stato Umberto Veronesi (1925-2016), medico e ricercatore, che ha dedicato la vita allo studio e alla cura dei tumori, in particolare alle terapie conservative per i tumori del seno. “Così mi scrisse – ricorda Veronesi – quando Dulbecco aderì al movimento Science for Peace: «Sono uno scienziato che ha vissuto la guerra e sono stato testimone della sua insensata e sanguinosa sofferenza. Ciò che è cruciale nelle relazioni umane è il dialogo. Se tutto il denaro e l’energia oggi impiegate nei conflitti armati fossero re-incanalate nel salvare l’umanità, potremmo vivere in un mondo davvero diverso. Gli scienziati da soli non possono portare la pace nel mondo, ma impegnandosi in prima persona e orientando altri verso questo obiettivo, possiamo sperare di avere successo”.
La speranza
Nel carteggio con Veronesi, a proposito della ricerca scientifica sempre in crisi in Italia – generalmente distintasi per investimenti insufficienti nell’importante settore – nel 2008 Dulbecco scrisse: “Ciò che mi dispiace profondamente è toccare con mano l’immobilismo di un’Italia che sembra non curarsi della ricerca scientifica, esattamente come nel dopoguerra. Oggi mi fa male vedere che, dopo oltre 60 anni, la situazione di crisi della ricerca scientifica in Italia non è cambiata, anzi. L’Italia rischia, molto più che negli ’50, di rimanere esclusa definitivamente dal gruppo di Paesi che concorrono al progresso scientifico e civile”. Lettera che si conclude con una speranza: “Io non ho la ricetta per salvare la ricerca italiana, ma proprio come “emigrato della ricerca” posso dire che i modelli ci sono, anche vicino ai nostri confini. Basterebbe iniziare a riflettere”. Veronesi ha lasciato scritto che Renato Dulbecco è passato alla storia come protagonista dell’era del DNA, che ha rivoluzionato non solo la medicina, ma la concezione stessa della posizione dell’uomo nell’universo. Per i suoi studi su virus oncogeni e Dna meritò il Premio Nobel nel 1975, e nel 1986 diede vita al programma mondiale per il sequenziamento del genoma umano, che porta il suo nome. E anche all’inizio di questa grande avventura divenuta operativa nel 1990 e conclusa nel 2000 con pieno successo Dulbecco si spese con tutte le forze per illustrare il progetto e la sua utilità. Nel 1985 con un articolo sulla rivista Science e poi nel 1986 con un nuovo articolo e una lettera sulla stessa prestigiosa rivista chiarì l’urgenza e la fattibilità scientifica del progetto genoma. “I molti anni passati nello studio del cancro mi avevano convinto che, per sconfiggerlo, bisognava conoscere i geni le cui alterazioni inducono le cellule a diventare maligne…ma non si sapeva nulla del perché le cellule diventano maligne”. Ora lo sappiamo, grazie a Dulbecco e anche alle sue lettere.