Alberto Orioli, vicedirettore del Sole 24 Ore, l’estate scorsa ha coinvolto sette tra i più importanti capi d’azienda italiani per chiedere loro una “proposta” per la ripartenza del Paese. Una serie di colloqui che è confluita in un libro che, ancora oggi in piena seconda ondata, getta lo sguardo oltre l’emergenza della pandemia e traccia una serie di direttive fondamentali per il futuro dell’Italia. In “Proposta per l’Italia. Sette protagonisti dell’economia per il Paese di domani”, Orioli ha raccolto le osservazioni di Silvia Candiani, Ad di Microsoft Italia, Andrea Illy, presidente di Illycaffè, Emma Marcegaglia, Ad del gruppo Marcegaglia, ex presidente di Eni e Confindustria, Federico Marchetti, fondatore di YOOX, presidente e Ad di Yoox-Net-A-Porter, Carlo Messina, Ceo di Intesa Sanpaolo, Renzo Rosso, fondatore di Diesel e presidente di OTB. Marco Tronchetti Provera, vicepresidente esecutivo e Ad di Pirelli, parlando con loro di innovazione, digitale, formazione e modo responsabile di fare impresa.

Riforme, semplificazione, concretezza, formazione. Qual è il fil rouge che è emerso dalle proposte per l’Italia che hai raccolto nel tuo libro?
“Tutti lamentano il fatto che la difficoltà è la messa a terra delle grandi idee che vengono annunciate: possono anche essere le migliori, ma poi c’è il problema di realizzarle, dovuto sostanzialmente alla burocrazia, all’incertezza sui livelli decisionali, all’accavallamento della governance, come abbiamo visto di recente con il Covid tra Stato e Regioni”.

Si tratta solo di infrastrutture o contano soprattutto le persone?
“Anche se riuscissimo, come è probabile che accada, a mettere in fila gli investimenti per le infrastrutture c’è comunque il tema della qualità del capitale umano. Tutti i manager che ho intervistato sottolineano che mancano 150mila tecnici all’anno per lo sviluppo digitale nei servizi. Non abbiamo creato una cultura appetibile per questi profili professionali, e questo rischia di esser un limite enorme”.

Continuità del servizio, trasparenza e dialogo: anche Poste Italiane ha gettato queste basi per mettersi al servizio del Paese. Possono bastare?
“L’evoluzione che hanno compiuto le Poste nel corso degli ultimi anni è evidente e sotto gli occhi tutti. È un caso studiato anche all’università di uno straordinario e virtuoso cambiamento. Il digitale in tempo di pandemia è stato ed è un salvagente, e c’è una reale missione sociale in chi è riuscito a tenere aperto e ad andare incontro ai bisogni della popolazione”.

Cosa manca?
“A molti grandi gruppi, non solo a Poste, manca ancora di arrivare a creare una clientela al passo della propria svolta e qui si torna al tema della formazione, che non è quindi solo quella del proprio personale ma riguarda anche la modalità con cui si fa crescere la propria clientela. Perché se è vero che il digitale rende tutto più facile è altresì vero che crea una barriera all’ingresso. Purtroppo, non si dà abbastanza attenzione all’idea di analfabetismo funzionale, che riguarda il 30 per cento della popolazione italiana, che è il Paese più vecchio del mondo. Il tema strategico è arrivare a imboccare a due vie la digitalizzazione, in chi la propone e in chi la deve usare. Il grosso della popolazione va incluso con azioni di formazione che tocca alle aziende inventare per far crescere la clientela insieme a loro”.