Luca Mercalli

Quando entri in contatto con Luca Mercalli pensi subito che ci sia qualcosa di sbagliato. Salvando il suo numero sulla rubrica non compare l’icona di whatsapp. Quando lo chiami, gli chiedi subito il perché: “Non uso whatsapp, perché non voglio essere bombardato”, sarà la sua replica. In compenso, risponde a tutte le centinaia di mail che riceve ogni giorno: “Lo faccio per una questione di “igiene”, per una sorta di sostenibilità personale”. Capisci presto che nel pianeta del professor Luca Mercalli non c’è spazio per l’inquinamento e i bombardamenti, ma solo per la pulizia e la serenità: non a caso, il climatologo più famoso d’Italia, uno che è stato capace di portare la sostenibilità ambientale in prima serata su Rai 3, se n’è andato a vivere in un piccolo paese dell’alta Val di Susa, come racconta nel suo ultimo libro “Salire in montagna”: “Esiste una fascia della popolazione che può sfruttare le opportunità del telelavoro e fare come me. Rivitalizzare i borghi e favorire così il ritorno dei servizi, compresi quelli di Poste Italiane. Nei piccoli comuni di montagna l’Ufficio Postale è da sempre un punto di riferimento”.

Professor Mercalli, il concetto di sostenibilità oggi abbraccia non più solo le tematiche ambientali come in origine ma sfere che riguardano i cosiddetti principi ESG. Come si è arrivati a capire che non può esserci il rispetto dell’ambiente e delle risorse naturali senza un contraltare che riguardi società e governance?
“Sono elementi inscindibili. Bisogna creare un processo di accettazione sociale consapevole che il modello attuale è incompatibile con le priorità ambientali. Se l’ambiente non funziona, non possono esserci né economia, né società né benessere individuale. Le priorità dell’ambiente nascono dalle leggi fisiche, leggi universali che funzionano così e non si possono cambiare. Negli ultimi decenni abbiamo dato la precedenza alle leggi inventate dagli uomini che hanno guastato il clima e la biodiversità con l’inquinamento. Ora, dobbiamo essere capaci, con intelligenza e con il negoziato, di renderci conto che non c’è più tempo e che se collassa l’ambiente collassa la società”.

Sarà una nuova emergenza?
“Dobbiamo capire che i problemi ambientali seguono tempi lunghi, ma quando si manifestano non si torna indietro. Se aumenta il livello del mare di un metro per diamo Venezia. Non ci sono mascherine o vaccini che possano proteggerci o riportarci al passato. La plastica negli oceani, la scomparsa di alcune specie sono elementi di grande preoccupazione. Ci stiamo avvicinando ai punti di non ritorno e se non attuiamo subito dei correttivi esauriremo nel giro di un decennio lo spazio per la prevenzione”.

Tutte le grandi aziende hanno ormai un proprio bilancio di sostenibilità. Come si fa a valutare la sincerità di chi opera per la sostenibilità?
“Si valuta in modo abbastanza semplice: tutto è misurabile. Dall’energia rinnovabile utilizzata allo smaltimento dei rifiuti, si possono fare dei bilanci ottimali con numeri che danno la sostanza degli impegni assunti. Conosco dei bilanci e delle aziende che fanno cose eccezionali. Sarebbe importante che l’economia globale non penalizzasse chi adotta queste strategie. Anche le logiche della crescita economiche dovrebbero cambiare perché viviamo in un mondo dalle dimensioni finite”.

La pandemia ha accelerato alcuni processi come la dematerializzazione, la digitalizzazione, la mobilità alternativa. Che cosa dobbiamo mantenere di questa esperienza anche quando – come auspicato – usciremo dalla crisi sanitaria?
“La rinnovata attenzione ai trasporti alternativi e la dematerializzazione sono due eredità positive della crisi sanitaria. Dal PC di casa abbiamo accelerato un processo che era già pronto. Ci saranno meno viaggi fisici, meno inquinamento, meno sprechi e questo è un bene”.

Perché è stata necessaria una pandemia per spingere dei processi che erano già alla nostra portata?
“L’uomo è fatto così: non agisce se non è posto nello stato di necessità. Non siamo una specie vocata alla prevenzione, siamo una specie vocata al qui e ora”.

Poste Italiane ha avviato un piano per ridurre le emissioni dovute al trasporto e implementare nelle proprie sedi il ricorso al fotovoltaico, all’illuminazione a led con l’obiettivo non solo di risparmiare ma anche di creare una nuova cultura aziendale. Pensa che possa essere un modello da seguire?
“La svolta culturale di un grande player come Poste può sicuramente influenzare anche i clienti. ‘Se me lo dice Poste ci credo’: c’è un aspetto di brand che va oltre l’informazione all’interno dell’azienda. Poste ha la grandissima capacità di creare una nuova cultura. Ogni azione volta a ridurre l’impatto diretto sull’ambiente è positiva: i veicoli elettrici, i nuovi strumenti di calcolo per ottimizzare i carichi e i chilometri delle consegne sono tutti aspetti positivi per la logistica di Poste. Bisogna essere flessibili e creativi, sfruttare il digitale anche contro la vecchia burocrazia e far riguadagnare tempo alle persone: la sostenibilità è anche questa”.

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