“Tra le misure previste per far fronte all’emergenza sanitaria, c’è la raccomandazione al massimo impiego dello smart working, che ha contribuito ad accelerare il processo di digitalizzazione delle imprese”. Proprio “lo smart working, che ha consentito a milioni di italiani di lavorare senza limiti spaziali, associato alla didattica universitaria erogata a distanza, ha generato il fenomeno del ‘south working’. I lavoratori e gli studenti ‘emigrati’ al Nord hanno potuto continuare a svolgere le proprie attività dalle città di origine, svincolati dalla presenza fisica. Questo, se da un lato ha causato la desertificazione, con conseguente crisi economica, di quelle città del Nord caratterizzate da una importante presenza di ‘fuori sede’, dall’altro potrebbe rivelarsi una formidabile opportunità per il rilancio del Mezzogiorno”. È quanto si legge nel Rapporto Eurispes.
Lavorare al Sud
“In questa direzione – prosegue il Rapporto – è nata l’associazione ‘South Working Lavorare dal Sud’, che si propone di ‘promuovere la coesione economica, sociale e territoriale e la riduzione del divario attualmente esistente tra territori con differenti livelli di sviluppo attraverso la diffusione e promozione di contratti di lavoro agile o smart working in via principale a distanza per datori di lavoro situati altrove’…”. Secondo il Rapporto, “in base all’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi) 2020 della Commissione Europea, l’Italia si caratterizza per una sostanziale arretratezza tecnologica, collocandosi al 25° posto sui 28 Stati membri, con un nove punti in meno della media europea (43,6 vs 52,6).
Capitale umano
Dalla scomposizione dell’indice emerge che, in termini di competenze digitali del ‘Capitale umano’, l’Italia si colloca all’ultimo posto nell’Ue. Infatti, secondo i dati del 2019, meno della metà delle persone (tra i 16 e i 74 anni) possiede almeno competenze digitali di base (42%) e il 17% non ha mai utilizzato Internet”.
Tecnologie digitali
Anche le imprese, prosegue il Rapporto Eurispes, “risultano essere indietro nel processo di digitalizzazione rispetto al resto d’Europa. Nella dimensione ‘Integrazione delle tecnologie digitali’, infatti, l’Italia si colloca al 22° posto su 28 paesi e al 19° per quanto riguarda la dimensione ‘Servizi pubblici digitali’. È in questo contesto che il Paese, per arginare l’emergenza sanitaria, ha dovuto largamente far ricorso allo strumento dello smart working”.
Fenomeno in crescita
I dati dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, si legge ancora, “descrivono un fenomeno fortemente in crescita nel 2020. Se prima dell’emergenza sanitaria gli smart worker in Italia erano 570mila, nel 2020 ne sono stati registrati 6,58 milioni. Il fenomeno ha interessato principalmente grandi imprese (97%) e Pubbliche amministrazioni (94%) e il 58% delle Piccole e Medie Imprese.
Bring your own device
L’accelerazione allo smart working ha confermato l’arretratezza tecnologica delle imprese italiane contribuendo a sollecitare il processo di digitalizzazione del sistema produttivo nazionale. Per attivare lo smart working infatti, il 69% delle imprese di grandi dimensioni ha dovuto aumentare la dotazione hardware; il 65% ha investito per garantire un accesso sicuro da remoto ai dati e alle applicazioni; il 45% ha adottato software per la collaborazione e la comunicazione e il 38% ha introdotto la logica ‘bring your own device’, consentendo al lavoratore di utilizzare il proprio dispositivo”.