Le lettere di Simenon

Dura una settimana l’indagine più imprevedibile del commissario Maigret. La conduce il suo inventore, Georges Simenon, scavando nella vita della propria madre, ormai alla fine, rimasta un oggetto misterioso, sfuggente. L’indagine muove da una domanda paradossale che dal letto d’ospedale la madre morente rivolge al figlio ormai settantenne, corso al suo capezzale: “Perché sei venuto Georges?”. E’ il primo enigma da sciogliere, banale solo in apparenza. Trascorrono tre anni e mezzo dalla morte sopravvenuta per conoscere la risposta di Simenon. La sua “Lettera a mia madre” svela il rapporto madre-figlio rimasto difficilissimo nell’esistenza di entrambi. Da maestro del giallo, Simenon con la Lettera non fuga tutte le zone d’ombra.

Il ricordo dell’infanzia

Nel 1979, in occasione del 50º anniversario della nascita di Maigret, Simenon indirizzava al suo celebre personaggio una lettera. Ma è del 1975 la Lettera più intrigante dell’inventore del commissario Maigret, quella indirizzata alla madre morta, trapunta di amarezza e disincanto. Henriette era stata “morbosamente emotiva, ma insensibile alle emozioni degli altri”, figlio compreso per il quale la madre era rimasta una figura indecifrabile. Nella crudezza narrativa, la Lettera svela un amore filiale e un amore materno mai comunicanti. La madre non era mai stata “mamma”. L’appellativo apre invece la Lettera quasi a sfogare un desiderio a lungo represso. “Cara mamma, tre anni e mezzo sono passati da quando, a novantun anni, sei morta, e ora soltanto, forse, comincio a capirti. Ho trascorso l’infanzia, l’adolescenza insieme a te, sotto lo stesso tetto, e quando a diciannove anni ti ho lasciata, sono partito per Parigi, eri ancora un’estranea per me”. Negli ultimi giorni stesa sul letto d’ospedale “giorno dopo giorno ho assistito alla tua agonia…ti ho osservata per ore e ore. Non soffrivi. Lasciare la vita non ti faceva paura… Quel sorriso dove c’era  malinconia e rassegnazione, l’ho conosciuto sin dall’infanzia. Subivi la vita tu. Non la vivevi…Noi non ci siamo mai amati, quand’eri viva lo sai bene. Abbiamo fatto finta, tutti e due”. Scrutandola sul letto di morte il figlio percepiva l’immagine vera della madre. Nulla di straordinario, ma è sua madre. E tuttavia i toni non si ammorbidiscono. Ricorda una madre “fiera dell’orgoglio dell’umiltà, fiera di essere povera e di non chiedere nulla a nessuno. Simenon puntualizza la ferita più sentita della sua vita: la mancanza di fiducia da parte della madre che lo considerava il cattivo di casa. “Per questo “non ti porto alcun rancore”.

Il lungo silenzio

Ma spiega la distanza di cinquant’anni. “Se non ci fosse tra noi questo silenzio, mentre restiamo qui, uno di fronte all’altra, avrei molte cose da chiederti… Oggi è la vera Henriette di cui vorrei trovare l’anima”, scavare nella memoria per ricostruire una vita di novantuno anni “leggere negli occhi che ora mi guardano, riempire di parole una bocca stretta che non dice nulla”. “Mi sforzo di capirti, prima che tu te ne vada per sempre”. Simenon le ricorda di averle scritte qualche lettera, ma riconosce che “fossero manierate e povere di slanci, perché non c’è stata mai vera intimità fra noi”. E nella stanza d’ospedale “siamo due stranieri che non parlano la stessa lingua e che diffidano l’uno dell’altra”.  “Perché sei venuto Georges?” evoca nel figlio quel sorriso “senza gioventù, già colmo d’amarezza” di sua madre e gli occhi che fin dall’infanzia “fissavano l’obiettivo del fotografo, duramente”. Nella veglia al capezzale della madre “mi sforzavo di capirti, di conoscerti, di immaginare la piccola Henriette Brull che eri stata, perché si conosce veramente qualcuno solo quando se n’è conosciuta l’infanzia”. E Simenon ne sapeva poco. “Ora che sei morta, e io ti scrivo una delle mie rare lettere, ecco sono padre a mia volta. Naturalmente, spietato non lo sono più”. Pensava sua madre buona per gli altri, ma soprattutto per sé, per mettere tutti nel sacco. E nonostante, Simenon si attiene a una regola da lui data a Maigret: “Non bisognerebbe mai togliere all’essere umano la sua dignità personale. Umiliare qualcuno è il crimine peggiore di tutti” (qui le indicazioni per il servizio postale universale per l’invio di documenti e comunicazioni, anche online).