Lettere nella storia: primo elogio della Costituzione

Il primo elogio della Costituzione italiana risale al 22 dicembre 1947 e lo fece un galantuomo, quale veniva considerato da tutti Enrico De Nicola, primo presidente della Repubblica. Fu lui a promulgarla al termine dei lavori dell’Assemblea Costituente terminati con il testo definitivo della Carta votata e approvata a scrutinio segreto con il seguente risultato: presenti e votanti 515; maggioranza 258; voti favorevoli 453; voti contrari 62. Nella seduta presero la parola l’onorevole Ruini presidente della Commissione per la Costituzione, Alcide De Gasperi presidente del Consiglio, l’anziano Vittorio Emanuele Orlando, parlamentare di lungo corso. Pronunciarono parole egregie. Il culmine della seduta fu la lettura del messaggio di Enrico De Nicola, una vera e propria lettera all’Assemblea. Breve e riassuntiva delle lotte, le fatiche, gli ideali, i sacrifici e il sangue che avevano segnato il lungo percorso dell’Italia verso l’unità, la libertà e la democrazia. Fu letta da Umberto Terracini integro presidente della Costituente.

Il testo

“La ringrazio vivamente illustre Presidente – scriveva De Nicola -, di avermi comunicato con cortese sollecitudine l’approvazione della Costituzione della Repubblica italiana. Il mio pensiero, reverente e devoto, si rivolge, in questo momento di sincera commozione, all’Assemblea Costituente, che — sotto la Sua incomparabile e indimenticabile Presidenza — ha compiuto un lavoro di cui gli storici daranno certamente un giudizio sereno, che onorerà il nostro Paese, per la profondità delle indagini compiute, per l’altezza dei dibattiti svoltisi, per lo zelo coscienzioso costantemente osservato nella ricerca delle soluzioni più democratiche e nella formulazione rigorosamente tecnica dei principî fondamentali e delle specifiche norme costituzionali — e all’Italia nostra, amata e martoriata, che dalle sventure sofferte e dai sacrifizii affrontati, saprà trarre ancora una volta, nella concordia degli intenti e delle opere dei suoi figli, le energie necessarie per il suo sicuro avvenire, offrendo al mondo un nuovo esempio di eroiche virtù civili e un nuovo incitamento al progresso sociale”.

Cittadini fra i cittadini nella Costituzione

Terracini aggiunse di suo una considerazione tuttora attualissima, chiave di lettura appropriata come non mai per non mettere a repentaglio le sorti del Paese. “L’Assemblea ha pensato e redatto la Costituzione come un solenne patto di amicizia e fraternità di tutto il popolo italiano, cui essa lo affida perché se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore. E noi stessi, onorevoli deputati, colleghi cari e fedeli di lunghe e degne fatiche, conclusa la nostra maggiore opera, dopo avere fatta la legge, diveniamone i più fedeli e rigidi servitori. Cittadini fra i cittadini, sia pure per breve tempo, traduciamo nelle nostre azioni, le maggiori e le più modeste, quegli ideali che, interpretando il voto delle larghe masse popolari e lavoratrici, abbiamo voluto incidere nella legge fondamentale della Repubblica”. Il testo era frutto di un lavoro instancabile dei Costituenti come documentò nella relazione il presidente della Commissione: “Ne fanno fede le 347 sedute a cui ci convocammo, delle quali 170 esclusivamente costituzionali; i 1663 emendamenti che furono presentati sui 140 articoli del progetto di Costituzione, dei quali 292 approvati, 314 respinti, 1057 ritirati od assorbiti; i 1090 interventi in discussione da parte di 275 oratori; i 44 appelli nominali ed i 109 scrutini segreti; i 40 ordini del giorno votati; gli 828 schemi di provvedimenti legislativi trasmessi dal Governo all’esame delle Commissioni permanenti ed i 61 disegni di legge deferiti all’Assemblea; le 23 mozioni presentate, delle quali 7 svolte; le 166 interpellanze di cui 22 discusse; le 1409 interrogazioni, 492 delle quali trattate in seduta, più le 2161 con domanda di risposta scritta, che furono soddisfatte per oltre tre quarti dai rispettivi Dicasteri”.

Viva l’Italia

Visionarie le parole del vegliardo Vittorio Emanuele Orlando: “A me ha potuto bastare di amare l’Italia; forse a voi occorrerà un’altra forma di attaccamento. V’è già chi dice: «Io mi sento europeo»; un altro: «mi sento africano»; un altro: «mi sento asiatico»; un altro: «mi sento slavo, anglosassone, germanico». Qualcuno arriva perfino a dire: «mi sento cittadino del mondo». Ma tutto ciò è prematuro. Onde, se io, vecchio, posso morire col nome di Italia sulle labbra, voi, giovani, — ce ne siete qui tanti — potrete, un giorno, avvertire altri sentimenti di adesione, di attaccamento, di amore per una qualche assai più ampia forma di vita statale; ma anche allora, voi vi sentirete italiani, come questo vecchio, anche allora amerete questa Madre comune, e sarete appassionatamente, fieramente italiani. Ed è in questo pensiero che io concludo, rivolgendo un appello, che, al di sopra dei dissensi e dei conflitti quotidiani, tutti ci congiunga in un sentimento ed in un nome: Viva l’Italia! Dio salvi l’Italia!”.