Negli studi professionali cresce di 1,7 miliardi l’investimento nel digitale

La pandemia ha accelerato il processo di rinnovamento delle professioni giuridico-economiche; queste hanno reagito alla situazione di emergenza aumentando gli investimenti nel digitale, ripensando le modalità di gestione e relazione col cliente e riprogettando spazi e modelli organizzativi degli studi professionali per adattarli alle mutate condizioni di lavoro. Lo rileva la ricerca dell’Osservatorio professionisti e innovazione digitale della School of Management del Politecnico di Milano, secondo cui nel 2020 avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro hanno investito 1,694 miliardi di euro in strumenti digitali, con un aumento del 7,9% rispetto all’anno precedente; le stime per il 2021 indicano un’ulteriore crescita del 5,6%, fino a sfiorare quota 1,8 miliardi.

Le tecnologie

A trainare la spesa negli studi professionali di piccole, medie e grandi dimensioni sono stati soprattutto gli investimenti in tecnologie del digitale per: la gestione elettronica documentale (+34%); strumenti di workflow (+57%); CRM (+120%); business intelligence (+86%); machine learning (+125%). Le micro strutture, invece, oltre che sulla gestione elettronica documentale (+37%), hanno puntato su tecnologie meno articolate e più incentrate sulle esigenze immediate che su quelle di lungo periodo, come i canali social (+26%) e le VPN (+44%).

Studi multidisciplinari

Gli studi multidisciplinari hanno stanziato i budget più consistenti, 25.300 euro in media; ma sono gli avvocati a mostrare l’incremento maggiore, con un +29,9% di investimenti Ict. L’emergenza sanitaria ha portato anche nuove consapevolezze sui cambiamenti necessari per mantenere competitivo lo studio. In primo luogo, una maggiore comprensione dei propri punti di forza e di debolezza, particolarmente presente negli avvocati (che l’hanno maturata nel 25% dei casi); una più attenta valutazione delle attitudini dei collaboratori, oltre che dei soli aspetti organizzativi del lavoro in remoto, soprattutto fra i consulenti del lavoro (34%) e negli studi multidisciplinari (43%).