In questa intervista, realizzata dal magazine Postenews nella seconda metà del 2019, prima che il Covid facesse breccia nel nostro mondo, lo scrittore Claudio Magris parla del suo rapporto con la corrispondenza.
Per arrivare in via Vettor Carpaccio si sale da Piazza Unità verso il quartiere di San Giusto, nel dedalo di vie ripide e ventose di Trieste. Lì abita Claudio Magris, il più importante scrittore italiano vivente, autore di quel capolavoro che è “Danubio”, un ibrido di narrativa, saggistica e storia della Mitteleuropa. Quando lo incontro nel suo appartamento, mi parla mentre è seduto sul divano, alle sue spalle una grande libreria bianca, davanti un tavolino ingorgato di libri. Ha compiuto ottant’anni, ma ha ancora il volto espressivo, gli occhi chiari intensi e la curiosa energia di un ragazzo. Mi parla con passione di lettere ricevute da persone fondamentali della sua vita che non ci sono più, come quelle intime della moglie, la scrittrice Marisa Madieri, “lettere che nessuno mai leggerà”, dice Claudio Magris, “è un po’ il deserto di chi sopravvive”. E il biglietto ricevuto all’inizio del 1962 dal grande Isaac Singer, premio Nobel per la letteratura. “Avevo letto “Il non veduto”, un racconto veramente stupendo, gli scrissi una lettera in tedesco presso il suo editore, e dopo dieci giorni è arrivata la risposta”. Ne conserva 41 faldoni voluminosi nel suo studio, “sono lettere di amici, di lettori del Corriere della Sera che ringraziano, protestano civilmente, insultano, e poi ricevo cinque dattiloscritti al giorno di gente che mi chiede di leggere i libri che hanno scritto. Mi riservo il lusso di non leggerli, magari mi perdo “Il processo” di Kafka, ma rispondo a tutti, solo ieri ho scritto 28 lettere. Poi ricevo quelle di molti matti – racconta – uno mi scriveva da una clinica psichiatrica in Piemonte. Ogni articolo che usciva sul Corriere, diceva che avevo trattato un problema importante, senza dire se bene o male, poi seguivano dieci, venti pagine in italiano stupendo, assolutamente senza senso, senza tema, e io rispondevo, finché un giorno mi ha chiesto: “perché non pubblichiamo il nostro epistolario?””. Ride. Ma ne riceve anche dalle carceri: “Adesso mi scrive un pluriomicida che ha l’ergastolo ostativo, è in galera da 27 anni, una donna perdutamente innamorata per 25 anni mi ha scritto ogni giorno, e lì si sente l’energia della follia”.
La colonna sonora di una vita
Claudio Magris riceve moltissima corrispondenza, lettere, pacchi, “percepisco questo come un’aggressione del mondo, quindi apro tutto freneticamente per liberarmene. Passo molte ore a scrivere, è faticoso ma non riesco a non rispondere, sia a Macron, che mi ha scritto pochi giorni fa, o uno sconosciuto, il rapporto con l’altro è sempre alla pari”. Magris sostiene che nelle lettere c’è una musica, quella del rapporto con il destinatario, che “può essere un brano di Schönberg o uno stridulo”, mentre la mail è una comunicazione, “un mondo senza lettere mi è impensabile, se scompariranno sarà una perdita, compensata forse da questa moltiplicazione di documentazioni”. Nel 1948, a nove anni, scrisse a Bartali, “dopo la tappa del Tour dove aveva stracciato Robic, gli scrissi dandogli del tu maiuscolo, come a dio”, però senza mettere il mittente, per non rimanere deluso nel caso non gli avesse risposto. Ma le più belle corrispondenze le ha ricevute da suo zio Nello, lo zio Favoloso, quello che costruiva l’albero di Natale alto fino al soffitto e si applicava le ali di cartone per sembrare un angelo, di cui lesse anche quella struggente che scrisse prima di uccidersi: “Nei giorni che precedevano le feste mi scriveva delle cartoline in cui San Nicolò era in viaggio da Bari con i regali, che un momento si erano persi, poi ritrovati per miracolo, le trovavo nella cassetta e il francobollo era una stella dorata”.