Lettere nella storia: Radnoti, poesia per la sposa

Una lettera per dire amore nell’indicibile condizione estrema di un lager. In realtà “Lettera alla sposa” non è una lettera comune, tradizionale, ma una poesia titolata dall’autore “Lettera alla sposa” o come altri preferiscono “alla moglie”. All’autore, tra i più grandi poeti del Novecento non solo ungherese, si può concedere il ricorso alla lettera come la più duttile forma letteraria di esprimere le profondità dell’animo umano. In una condizione traumatica e tragica, poco prima di venire giustiziato dagli aguzzini alleati dei nazisti, il poeta patriota Miklòs Radnoti (1909-1944) aveva appuntato versi nel suo logoro taccuino ritrovato nei vestiti del suo cadavere scoperto un anno e mezzo dopo in una fossa comune. Il “Taccuino di Bar”, dal luogo dove fu ritrovato.

La forza dell’amore

Un poeta, Miklos Radnoti, in una suprema condizione di pericolo, alla sua donna amata non può che scrivere in poesia, considerandola lettera del condannato, suo testamento d’amore. Lettera dell’addio in una carcerazione disumana. Quaranta versi di una lettera in poesia per descrivere la forza dell’amore che dona dignità umana a una vita sull’orlo di scolorarsi nel buio anonimo della morte incombente. Radnoti scava nell’esperienza crudele, raccontandosi all’amata e accendendo briciole di speranza che non potrà mai più condividere con lei. Resteranno, però, nella memoria dei sopravvissuti.

Nei mondi taciturni della profondità muta
il silenzio urla nel mio orecchio, lancio un grido,
ma non può rispondermi nessuno dalla distante
Serbia svenuta in guerra
e tu sei lontana. La tua voce intreccia il mio sogno –
e di giorno la ritrovo di nuovo nel mio cuore –
dunque taccio, mentre mi ronzano attorno ritte
tante felci orgogliose dal tocco fresco.
Non so più quando potrò vederti di nuovo,
tu che eri certa e pesante come il salmo,
e bella come la luce, bella come l’ombra,
colei che ritroverei anche da cieco e muto,
ora ti nascondi nel paesaggio e affiori dall’interno
nei miei occhi, è così che ti proietta la mente;
eri realtà, e sei diventata di nuovo sogno,
ricadendo nel pozzo dell’adolescenza
ti interrogo geloso, mi ami?
un giorno alla fine della mia giovinezza
sarai la mia sposa, spero di nuovo –
torno in me,
so che lo sei. Sposa e amica –
solo sei lontana. Oltre tre confini selvaggi.
E sta già arrivando l’autunno. Anche l’autunno mi dimentica qui?
Dei nostri baci il ricordo è più acuto;
avevo creduto nei miracoli e ho dimenticato i loro giorni,
squadre di bombardieri sfilano sopra di me;
stavo ammirando nel cielo l’azzurro dei tuoi occhi,
ma s’è annuvolato, e le bombe in alto dagli aerei
avevano voglia di precipitare. Vivo contro di loro –
e sono prigioniero. Ho ponderato tutto quello in cui spero,
ciò nonostante so che ti ritroverò,
ho percorso per te la lunghezza interminabile dell’anima –,
e strade di paesi; se serve con una magia attraverserò
braci di porpora, fiamme che precipitano, ma tornerò;
se serve sarò coriaceo, come il callo sull’albero,
mi tranquillizza la calma degli uomini selvaggi
che vivono nei guai e in pericolo costante,
aspirando alle armi e al potere,
e come un’onda fredda
mi cade addosso il buon senso del 2 x 2.

L’omaggio del Papa

Nella sua recente visita lampo a Budapest papa Francesco ha riesumato questa poesia, definendo Radnoti una delle tante “figure degli amici di Dio che hanno irradiato la sua luce nelle notti del mondo”. E il Taccuino “l’unica raccolta poetica sopravvissuta alla Shoah” e che testimonia “la forza di credere al calore dell’amore nel gelo del lager e di illuminare il buio dell’odio con la luce della fede”.