Il filosofo Floridi: “PA e formazione, con Spid l’Italia volta pagina”
Luciano Floridi, docente di Filosofia ed Etica dell'Informazione a Oxford e di Sociologia della Cultura e della Comunicazione a Bologna

Luciano Floridi è considerato il filosofo più influente del mondo, secondo la classifica Scopus del 2021 stilata da DailyNousEditor. Floridi, che negli anni scorsi è stato docente formatore di Poste Italiane durante i Poste Talks, nei quali si è focalizzato sull’intelligenza artificiale, ha parlato più volte con il nostro magazine spiegando come nella “quarta rivoluzione” – dopo quelle di Copernico, Darwin e Freud – teorizzata in un suoo libro i confini tra vita online e offline tendano a scomparire: siamo ormai connessi, senza soluzione di continuità, in una “infosfera” globale. E le nostre attività quotidiane sono sempre più riconducibili a una realtà mista, “onlife”, secondo la fortunata espressione coniata dal filosofo. Anticipiamo di seguito l’intervista al professor Floridi pubblicata sul numero 39 del mensile Postenews.

Liberare il tempo è il grande regalo che lo SPID offre agli ormai 26,4 milioni di italiani in possesso di un’identità digitale. Ma non solo: il digitale offre la possibilità di scelte di vita migliori nella formazione, nel lavoro, negli acquisti, nei rapporti con la pubblica amministrazione e, perché no, nei rapporti con gli altri quando viene gestito con responsabilità. Il professor Luciano Floridi, docente di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford e di Sociologia della Cultura e della Comunicazione all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, nonché teorico dell’Onlife, un’espressione coniata per indicare confini sempre più labili tra la nostra vita online e quella offline, parla delle opportunità offerte dalla nostra identità digitale e della sua appartenenza del nostro DNA.

Professor Floridi, a febbraio 2020, quando il Covid arrivò in Italia, avevamo 6 milioni di identità digitali. A fine novembre 2021 sono 26,4 milioni. Questa impennata è stata “merito” solo della pandemia?

“La pandemia ha avuto un effetto diretto e indiretto su questa accelerazione: da una parte ci ha “spostato” tutti sull’online, dall’altra ha reso lo Spid necessario per effettuare qualsiasi operazione. Lo Spid non è più una scelta, è diventata una necessità. E credo che presto in Italia supereremo i 30 milioni di identità digitali”.

Che cosa significa avere oggi oltre 26 milioni di identità digitali in Italia e che cosa bisogna fare per “cavalcare” questa accelerazione verso la transizione digitale?

“È una grandissima opportunità, che non possiamo mancare. Avere la popolazione italiana finalmente proiettata verso una realtà digitalizzata vuol dire avere maggiore efficienza nel pubblico, nella formazione, nel mondo lavorativo e produttivo, poter fare scelte migliori nella vita e nei consumi. È una straordinaria opportunità che dobbiamo assolutamente cogliere. Il rischio è che ora ci sia una grande stasi. Invece, dobbiamo ricordarci che è soltanto l’inizio. Pensiamo all’e-commerce: per un Paese esportatore come l’Italia è un’opportunità incredibile. Avere una popolazione pronta al digitale vuol dire anche avere una forma mentis evoluta nel commercio, nella formazione, nei servizi per la pubblica amministrazione, il lavoro e la sanità, che, ricordiamolo, resta una delle migliori del mondo”.

Di queste 26,4 milioni di identità digitali, 20 milioni sono state rilasciate da Poste Italiane che, nell’80% dei casi, ha visto richiedere l’attivazione dello Spid attraverso lo sportello dell’Ufficio Postale. Per un operatore come Poste perché è importante mantenere un contatto fisico con gli utenti digitali?

“La presenza fisica dipende dalla risposta che vogliamo dare alla domanda ‘what for?’. Se si pensa al vecchio Ufficio Postale, così come alla banca dove un tempo si portavano i risparmi, quel mondo sta sparendo, si sta trasformando in altro. Se l’Ufficio Postale evolve invece in una interfaccia complementare, in grado di dialogare con altre realtà, allora la sua presenza fisica, con nuove competenze e servizi in grado di raccogliere la domanda della comunità, diventa una necessità. Ci vuole una visione del mondo non banale, lungimirante”.

Oltre 26 milioni di identità digitali, probabilmente, non corrispondono a 26 milioni di utilizzatori dello Spid. Milioni di persone anziane vengono assistite da figli e nipoti nelle operazioni che richiedono Spid. E per molti figli di genitori over 70 significa avere più identità digitali da gestire contemporaneamente. Quali sono i rischi di questo “sdoppiamento” dell’identità digitale?

“Dovremmo essere in grado di fare operazione di delega. Le linee aeree, per esempio, permettono già la delega nella gestione dei servizi aerei, oppure programmi di fidelizzazione familiari. Ovviamente lo Spid, essendo letteralmente il nostro DNA, solleva una questione molto più seria. Il rischio è di avere un buon digitale con una cattiva burocrazia. Sarebbero sufficienti strategie adeguate e un nuovo quadro legislativo che consenta di richiedere documenti per altri, ma anche alle pubbliche amministrazioni di comunicare tra loro. Perché, per esempio, una università chiede a un cittadino un certificato di residenza quando potrebbe chiederlo direttamente al Comune del cittadino stesso, con la sua autorizzazione? Questo è un esempio di cattivo design, che non tiene conto della ragionevolezza umana. La diffusione dello Spid ci può aiutare a creare le condizioni per autorizzare due amministrazioni a comunicare tra loro secondo un canale che chiamerei “A2A”, Administration to Administration”.

Professor Floridi l’identità digitale consente di consultare documenti e svolgere decine di operazioni che una volta richiedevano una partecipazione fisica e un allontanamento dalla postazione di lavoro. Ora, durante la pausa pranzo, posso richiedere un certificato di residenza, controllare l’esito di un tampone o compilare il 730. Quali sono i rischi per l’uomo, almeno per chi lavora abitualmente davanti a un computer, di questa totale immersione nel digitale?

“Mi piacerebbe uscire dal dibattito dicotomico sui rischi e le opportunità. Parlerei più di adattamento a un ambiente in cui sia veramente possibile il multitasking. Questo mondo, al quale ci dobbiamo ancora abituare, ha molte meno pause perché limita le operazioni collegate alla fisicalità. Quel mondo, in cui le banche avevano gli stessi orari degli uffici, e quindi bisognava chiedere un permesso per andarci, si sta sgretolando. E questo si traduce in una grandissima liberazione del nostro tempo. Il digitale però, essendo più flessibile, richiede una maggiore responsabilità: non si può guardare lo smartphone mentre si lavora in una catena di montaggio così come non si può dire ai propri figli “a letto dopo Carosello”, senza assicurarsi che non guardino Netflix tutta la notte. L’iperpresenza delle opportunità e dei servizi deve renderci più responsabili e consapevoli delle nostre debolezze e della nostra malleabilità. La voracità di digitale va tenuta sotto controllo come l’alimentazione. Un po’ di sana dieta non guasta, per usare il digitale non meno ma meglio”.