Lettere nella storia: Arendt e Heidegger, amore e filosofia

Vivere un amore intenso, clandestino, passione di una vita intera, da “invisibili nel visibile”. Hannah Arendt e Martin Heidegger ci sono riusciti seppure attraverso una lunga separazione forzosa. Due eccellenze filosofiche con una storia d’amore all’ombra del pensiero del ventesimo secolo. Senza le loro lettere non si sarebbe sospettata neppure la loro affinità elettiva, i turbamenti che l’amore comporta perfino nelle intelligenze più acute, ritenute a torto, refrattarie al sentimento. Alla letizia iniziale seguirono 18 anni di silenzio e lontananza che parevano irreparabili. Dovuti sia all’esitazione di lui, marcato stretto da una moglie combattiva, sia alle dicerie calunniose verso Martin di essere antisemita e simpatizzante del nazionalsocialismo.

“Non dimenticarmi”

Hannah era ebrea e scampò con l’esilio dalle persecuzioni hitleriane. Lei giovane universitaria, lui docente ormai affermato. I 17 anni di differenza erano stati colmati da un amore folgorante. Lo prova il carteggio tra il 1925 e il 1975, raccolto postumo in un volume di 166 lettere e diviso nelle fasi ideali del vedersi, rivedersi, dell’autunno e dell’epilogo. Specchio sorprendente di un corto circuito che può accadere tra la ragione e il cuore senza distruggerli, anzi affinandoli. Apparentemente sembra vincere il pensiero, lo studio, ma sotto la cenere dello scrivere, pubblicare, tenere seminari e conferenze proprio di due studiosi affermati, arde vigile l’amore del destino, imprevisto, rimpianto, ritrovato, da frutto acerbo maturato a condizione dell’anima pacificata. Se Hannah e Martin sono quel che sono, due filosofi unici, lo devono alla loro storia d’amore. E si scopre che l’autore di “Essere e tempo”, capolavoro filosofico del Novecento, si rivolge all’amata da metafisico che tesse la filosofia con la poesia non meno ammaliatrice dello scandagliare il senso dell’essere. Hannah appare più forte, decisa davanti alle titubanze e agli equilibrismi di Martin. “Non dimenticarmi, e non dimenticare – gli scrive dopo aver cambiato università e alle prese con un primo matrimonio che durerà pochissimo – quanto profondamente io so che il nostro amore è diventato la benedizione della mia vita. Questa consapevolezza non è scossa nemmeno oggi che ho trovato asilo alla mia inquietudine presso un uomo da cui tu forse non l’avresti mai aspettato”. “Non c’era nulla che potessi fare – scrive in una lettera successiva a Martin – se non lasciare che accadesse, e aspettare, aspettare, aspettare…Ciò che voglio dirti adesso non è altro, in fondo, che un’esposizione pura e semplice della situazione. Ti amo come il primo giorno – tu lo sai e io l’ho sempre saputo, anche prima di questo nostro incontro. Il cammino che mi avevi indicato è più lungo e difficile di quanto pensassi. Richiede tutta una lunga vita. La solitudine di questo cammino è volontaria ed è l’unica possibilità di vita che mi è concessa”.

Lettere in poesia

Una lettera della Arendt nello stesso periodo si chiude citando i versi di un sonetto portoghese di Elizabeth Barrett Browning: “E se Dio vorrà/ ti amerò anche di più dopo la morte”. Heidegger si difende alla meglio per salvare le apparenze del suo di matrimonio. In una delle prime lettere ad Hannah scrive: “Perché l’amore è ricco oltre ogni misura rispetto alle altre umane possibilità e risulta per chi ne è coinvolto un peso così dolce? Perché noi ci trasformiamo in ciò che amiamo pur rimanendo noi stessi. Vorremmo poi ringraziare colui che amiamo e non troviamo niente che sia sufficiente a farlo. Possiamo soltanto essere riconoscenti nei confronti di noi stessi…L’amore accresce costantemente il suo mistero più profondo”.  Ciascuno, a suo modo, non riesce a dimenticare l’altro. Lo testimonia il batticuore “da prima volta” con cui riallacciano il rapporto negli anni Cinquanta. “Caro Martin, – scrive Arendt nel 1960 in occasione della pubblicazione della sua opera Vita activa – … Se le cose tra noi fossero andate per il verso giusto – intendo dire tra e non per me o per te – ti avrei chiesto di potertelo dedicare; ha cominciato a prendere forma fin dai primi tempi di Freiburg, e ti è debitore, sotto ogni aspetto, di quasi tutto”. In una minuta la filosofa chiama Heidegger “l’intimo amico/cui sono e non sono/rimasta fedele/sempre per amore”. Martin saluta il nuovo incontro con poesie delicate ad Hannah rivista nella luce del 1924, al primo incontro. Luce ritrovata nel febbraio 1950: “Se il pensiero apre una radura all’amore/la grazia gli ha portato il suo splendore”. Sono lettere in poesia, misteriose come amore e filosofia di vita.