“Lettera alla tribù bianca”. Un missionario convertito dai poveri dell’Africa l’ha scritta ai popoli europei per chiedere loro se siano mai stati cristiani discepoli del Vangelo o sono restati da sempre “solo verniciati di cristianesimo” con le radici rimaste profondamente pagane. “Oggi questo è più che evidente. Papa Francesco con grande coraggio ha detto: ‘Non siamo nella cristianità, non più’. È una Lettera che apre traumi anzitutto nell’anima dell’autore, il missionario Alex Zanotelli, inserito nel Rione Sanità a Napoli. Per convertirsi agli impoveriti della terra, ha dovuto vivere 12 anni nella grande baraccopoli di Nairobi, dopo averne trascorsi altri 8 in Sudan, tra i Nuba, e 9 da direttore di Nigrizia, mordente rivista missionaria italiana dei padri Comboniani.
L’urgenza di una conversione
Un prete con studi teologi perfezionati negli Stati Uniti prima di sbarcare in Africa, dove percepisce l’urgenza di una conversione per recepire lo stridore tra colonialismo e missione considerati alleati per secoli. Un missionario che si converte, scoprendo tra i poveri un Dio “totalmente altro” da quello caro e venerato perfino in tanta politica di cooperazione (pure italiana) nei confronti dell’Africa. Si tratta di una lettera (edita da Feltrinelli) davvero sconvolgente, impasto di denuncia, verità, perdono. Per assorbirne la bellezza interiore bisogna leggerla con spirito disarmato, magari contemplando la campagna verde mentre un leggero vento pomeridiano increspa le cime degli alberi.
L’incontro con Florence
Dio parla nella brezza del vento che stempera la collera con il respiro dell’amore: accade più volte nella Bibbia. L’illusione terribile di considerarsi giusti senza sforzarsi di restare fratelli di Abele e del povero Lazzaro questa Lettera di Alex ce la strappa di dosso, al modo che è successo a lui stesso. La sua conversione è provocata da un povero gigante nero, raccoglitore di rifiuti che lo apostrofò “Muthungu” (bianco) e da Florence, piccola fanciulla spinta per fame dalla mamma alla prostituzione a 11 anni, malata di Aids e morta a 17, che gli parlò di Dio in maniera struggente sul giaciglio di morte. Chi è Dio per te? le chiese il missionario. “Mungu, mi mama”, Dio è mamma la risposta. E ancora: Florence, chi è il volto di Dio per te oggi? Tenevo gli occhi fissi sul suo volto – racconta il missionario – che improvvisamente sbocciò in un sorriso bellissimo: “Sono io il volto di Dio”.
L’esperienza di Nairobi
Nella lunga Lettera che scava senza mai offendere nell’anima di chi è in cerca di adeguare la vita alla fede del Vangelo, c’è anche la spiegazione del titolo nato in fedeltà a un mandato ricevuto al termine del servizio e della vita condivisa con i raccoglitori di rifiuti nella grande discarica adiacente l’enorme baraccopoli di Korogocho in Nairobi, metropoli di oltre 4 milioni di abitanti. Un pugno di ricchi o benestanti, assediati dalla marea di baracche dei poveri. “Dio Papà, dona ad Alex la forza del tuo Spirito perché dopo aver camminato con noi 12 anni possa tornare dalla sua tribù bianca e convertirla”.
Chi è la vera tribù
Sono i baraccati africani che lo hanno inviato a “convertire la mia tribù bianca. Il mio non è un atto di accusa, è un umile tentativo, come missionario, di aiutare la tribù bianca a cambiare rotta… So quanto è stato difficile per me, è con grande umiltà che rivolgo questo messaggio alla tribù bianca perché si converta. Convertirsi nella Bibbia significa cambiare rotta perché si è sbagliato strada. Qualcuno potrebbe chiedermi perché gli africani ci classificano come la tribù bianca. Siccome noi bianchi abbiamo sempre chiamato ‘tribù’ i popoli dell’Africa nera in senso dispregiativo, gli africani definiscono noi europei tribù bianca. Ma perché gli hausa della Nigeria, che sono 80 milioni, dovrebbero essere una tribù, mentre gli svizzeri che sono appena 8 milioni, sono un popolo? Dobbiamo analizzare bene i nostri termini per descrivere l’altro: oggi chiamiamo i Paesi impoveriti ‘Paesi in via di sviluppo’ con un linguaggio che il teologo della liberazione Jon Sobrino definisce eufemistico e macabro. Siamo davvero sicuri di essere noi i Paesi sviluppati e civili?”.
Il coraggio di indignarsi
Questa Lettera parecchio lunga, ma sempre avvincente, la si può gustare pagina per pagina come quando si mangiano ciliegie che rendono golosi. Cinque capitoli: nel mondo degli ultimi; fame di oro: il suprematismo bianco; verso un’umanità plurale; una parabola contemporanea e – per finire – …a voi giovani. “Abbiate il coraggio di indignarvi, di ripensare e di reinventare tutto per far sbocciare un mondo più umano. Ora tocca a te, giovane, umanizzare l’uomo!”.