Lettere nella storia: Saint Exupéry, l’aviatore che cercava lo spirito

A differenza di altri autori, le sue Lettere non sono eccezionali nel numero, ma nella qualità di alcune tra esse restate celebri. Antoine de Saint Exupéry non è solo autore famoso del Piccolo Principe, favola universale sul mistero dell’uomo, ma anche di “Lettera a un ostaggio” – uno dei punti più alti della sua opera- e di “Lettera a un americano”, l’ultimo suo testo scritto a fine maggio del 1944 nella sua casa di Alghero. A fine luglio di quell’anno Antoine, pilota di pace in scenari di guerra, scompariva durante una missione che fu anche l’ultima e di lui non se ne seppe più nulla.

Testamento spirituale

Se Lettera a un ostaggio venne definito “il poema della restaurazione del sorriso” nel tentativo di restituire agli uomini un significato spirituale entro scenari di odio, distruzioni, morti senza numero che la guerra porta con sé, Lettera a un americano è diventata il testamento spirituale dello scrittore e aviatore francese Saint Exupéry alla ricerca del significato profondo della vita. “…Oggi – vi si legge – sono profondamente triste e in profondità. Sono triste per la mia generazione, che è vuota di qualunque sostanza umana; che non avendo conosciuto altra forma spirituale di vita oltre il bar, la matematica e le Bugatti, si trova ora impegnata in una azione strettamente gregaria, senza più colore alcuno… gli uomini rifiutano di lasciarsi ridestare a una vita spirituale qualsiasi.  Compiono onestamente una specie di lavoro a catena. Come dice la gioventù americana: noi accettiamo questo job ingrato onestamente, e la propaganda nel mondo intero si batte i fianchi con disperazione… Odio la mia epoca con tutte le mie forze. L’uomo vi muore di sete. Ah generale, c’è un solo problema, uno solo per il mondo: ridare agli uomini un significato spirituale, inquietudini spirituali. Far piovere su di loro qualcosa che rassomigli ad un canto gregoriano. Se avessi la fede, stia certo che, superata quest’epoca di “mestiere necessario e ingrato”, non potrei più tollerare altro che la vita monastica. Non si può vivere di frigoriferi, di politica, di bilanci e di parole incrociate, mi creda. Non più. Non si può vivere senza poesia, senza colore né amore. Basta ascoltare un canto popolare del XV secolo per misurare la china percorsa. Nulla resta, se non la voce della propaganda. Due miliardi di uomini sentono il robot, capiscono solo il robot, diventano robot. Tutti gli sconquassi degli ultimi anni non hanno che due fonti: i guasti del sistema economico del XIX secolo e la disperazione spirituale. C’è un problema, uno solo: tornare a scoprire che esiste una vita dello spirito più alta ancora di quella dell’intelligenza, l’unica in grado di soddisfare l’uomo. Questo supera il problema della vita religiosa, che ne è solamente una forma. E la vita dello spirito comincia là dove un essere “unico” è concepito al di sopra dei materiali che lo compongono…Ah! che strana sera questa, che strano clima. Dalla mia camera vedo accendersi le finestre di questa costruzione senza volto. Sento le diverse stazioni radio sciorinare la loro musica balorda a questa folla di sfaccendati venuti d’oltremare e che non conoscono la nostalgia. Può accadere di scambiare questa accettazione rassegnata per spirito di sacrificio o grandezza morale. Che errore! I legami d’amore che stringono l’uomo d’oggi agli esseri come alle cose, sono così poco tesi, così poco solidi, che l’uomo non avverte più l’assenza come una volta.

“Deserto dell’uomo”

È la parola terribile di quella storiella ebrea: “Te ne vai dunque laggiù? come sarai lontano!”. “Lontano da dove?”. Il dove che hanno lasciato non era altro che un fascio di abitudini. In quest’epoca di divorzio, si divorzia con la stessa facilità dalle cose. I frigoriferi sono intercambiabili. E le case pure. E la propria donna? E la religione? E il partito? E’ ormai impossibile essere infedeli: a che cosa si potrebbe essere infedeli? Lontani da dove e infedeli a che cosa? Deserto dell’uomo”. Molti di questi interrogativi sono attuali ancora oggi. Per le cose dello spirito, della libertà, della dignità umana può sembrare che le domande dell’autore del Piccolo Principe siano rimaste sospese nell’aria che si richiuse nel mistero dopo che l’aereo di Antoine de Saint Exupéry precipitò, quasi certamente sotto il fuoco nazista.