valeria parrella

Valeria Parrella quando pronuncio la parola “lettera”, comincia a raccontare: “Mi vengono in mente quelle cartacee, mi viene in mente la fortuna di avere persone che mi scrivessero e alle quali scrivere, perché quando ero ragazza lessi che Madame Bovary comprava carta da lettera anche se non aveva mittenti – e lo so che è una immagine bellissima ma a me distruggeva l’idea di quella donna senza indirizzi a cui inviare”.

Le scoperte dell’adolescenza

Così, istintivamente, prima ancora di diventare una scrittrice, imitò l’eroina del romanzo di Flaubert: “Anch’io mi facevo comprare carta da lettera, fin da piccolissima inventavo i mittenti così mi mandavo lettere e mi scrivevo le risposte”. Ma continuò anche dopo con destinatari veri, “arrivò l’adolescenza e cominciai a scrivere e ricevere lettere d’amore. Ne ho pacchetti pieni da qualche parte nella soffitta di casa di mio padre. Erano lettere estive, una al giorno credo, in quelle estati quando hai 15 o 16 anni e non puoi ancora andare in vacanza con il tuo fidanzato. Scrivere lettere era bellissimo, ma la cosa più bella era aspettare quelle di risposta”.

La rubrica dei sentimenti

Continua anche oggi a scrivere lettere. “Sul settimanale Oggi tengo la rubrica della posta dei sentimenti, certo le lettere più belle sono quelle che mi arrivano scritte a mano, in busta, e io rispondo al computer. Ma li considero veri scambi epistolari perché ci metto molto di mio, non do risposte generiche per tutti, ma proprio le risposte a quella persona lì e parlando anche di me, pescando in me”.

Gli amici scrittori

Invece gli epistolari la annoiano, li frequenta poco da lettrice. Ma continua a scambiarsi lettere e messaggi con alcuni amici scrittori: “Con Nicola Lagioia ci scriviamo mail quando ci dobbiamo dire le cose importanti. Ci telefoniamo per gli auguri, per avere notizie, ma se dobbiamo parlarci davvero, ci scriviamo. Lo stesso capita con Stefano Bartezzaghi”. Poi c’è una lettera degli inizi della sua carriera che ricorda “con passione”, era il 2002, “avevo scritto “Il passaggio”, un racconto che poi finirà in “Mosca più balena”, il mio primo libro. Lo mandai a un concorso. Mi risposero, dissero che c’era qualcosa di buono ma non funzionava. Era una lettera cartacea arrivata dopo tanto tempo. La aprii sul letto, ero sicura che mi avrebbero preso, invece mi rifiutarono. Piansi come una dannata, poi dissi: non hanno capito un cazzo, e mandai quell’unico racconto Minimum Fax, per posta ordinaria”. Fu proprio quella raccolta di racconti che le fece vincere il Premio Campiello Opera prima e conoscere al grande pubblico.