Era uno spot delle Poste, anno di grazia 1968, quando eravamo ancora in bianco e nero. La storia di Gianni Boncompagni e Raffaella Carrà cominciò così, in Piazza di Spagna, come raccontò lei in un’intervista: “Lui disse: “Metteremo un divano a metà della scalinata di Trinità dei Monti, ma bisogna girare all’alba, alle sei del mattino, verrà fortissima”. Mi misi a ridere, accettai”. Un ricordo di Roma, lontano nel tempo. C’era Carosello alla tv, la brillantina Linetti e l’amaro Cynar “contro il logorio della vita moderna”, Sergio Endrigo aveva vinto Sanremo, i ragazzi avevano la barba e le ragazze la minigonna, era un mondo con gli Lp e i giradischi, le feste nei salotti di casa, i balli lenti per mettersi insieme. Celentano cacciava Don Backy dal festival, Gianni Morandi faceva la naia a Pavia. Se i Rolling Stones cantavano “Sympathy for the devil” da noi il disco più venduto era “Azzurro”. Patty Pravo cantava “La Bambola”, i Camaleonti “Applausi”, Fabrizio De André “Bocca di rosa”. Alla radio Corrado presentava La Corrida. Fuori, scoppiava il Sessantotto e cominciava la guerra in Vietnam, uccidevano Martin Luther King e Robert Kennedy, i carri armati russi entravano a Praga per cancellare Dubcek e la sua Primavera, Richard Nixon vinceva le elezioni e l’Italia gli europei di calcio, gol di Anastasi e Gigi Riva. La notte di Roma era dolce, c’era il Ponentino e un friccico de luna tutta per noi. Com’era diverso quel tempo. Da un anno, per scrivere gli indirizzi bisognava aggiungere il Cap, il codice di avviamento postale, una sequenza di numeri per indicare la regione di destinazione, la provincia, la città, il quartiere e la zona di recapito.
Un’Italia moderna
Era il primo passo di un cambiamento che annunciava una rivoluzione tecnologica. Perché quel codice spianava la strada all’automazione postale con nuovi macchinari che avrebbero smistato lettere, pacchi e cartoline, comportava grandi investimenti e consentiva di mettere in piedi una rete logistica più efficiente per migliorare la qualità del servizio. Il boom economico stava stravolgendo il Paese, cambiava abitudini e culture: nell’arco di dieci anni, tra il 1950 e il 1960, la posta spedita in Italia era passata da circa tre miliardi di lettere e altre spedizioni a più di cinque, quasi il doppio. Un intervento di modernizzazione del sistema era diventato pressoché inevitabile. Eppure, quella novità aveva ugualmente scombussolato un Paese che si apriva ancora al mondo con i suoi retaggi di civiltà rurale nella mischia utopica del ’68. Per questo, per far digerire il cambiamento agli italiani, le Poste avviarono una campagna di comunicazione integrata, con una grande cornice pubblicitaria che prevedeva conferenze stampa, manifesti, vademecum, adesivi applicati sulle cassette, emissioni di francobolli e spot televisivi. Furono scritturati personaggi celebri del mondo dello spettacolo, Gino Bramieri, Aba Cercato, Gianni Morandi, Ugo Tognazzi, Paola Pitagora, Sylva Koscina, Gianni Boncompagni e Raffaella Carrà. Il presentatore Corrado chiudeva alcuni di questi spot sbucando da una cassetta per ripetere lo stesso slogan: “Cap! Capito?”. Si cominciò con 27 città, tra cui Roma e Milano e molti capoluoghi di città. come Torino, Genova, Napoli, Venezia e Palermo. Solo trent’anni dopo, nel 1997, furono introdotti i Cap per le nuove province di Biella, Crotone, Lecco, Lodi, Prato, Rimini, Verbania e Vibo Valentia. Ma gli aggiornamenti andarono ancora avanti, nel 2006 e 2009, con l’assegnazione di nuovi cap e l’eliminazione di altri. Oggi, nell’era super tecnologica dei giorni nostri, è diventato la normalità, qualcosa che appartiene definitivamente alle nostre abitudini.
I primi tormentoni
Gianni Boncompagni, quando girò quello spot, non era ancora il personaggio di Alto Gradimento, trasmissione simbolo di una generazione che usciva da scuola in fretta e furia per ascoltarla alla radio mentre la mamma era indaffarata ai fornelli. Avrebbe cominciato due anni dopo, nel 1970, con Renzo Arbore, che lo aveva cercato nei corridoi della Rai e gli aveva detto, “perché non facciamo un programma che faccia ridere, visto che qui non ride più nessuno”. Andarono dal direttore e gli presentarono la proposta dal titolo: “Musica e puttanate”. L’idea era buona, il titolo no. “Basso gradimento”, suggerì Arbore. “Meglio alto che basso”, disse Boncompagni. Cominciarono senza traccia, un foglio bianco davanti e una pila di dischi. “E cominciammo proprio col dire un sacco di puttanate”, ricordò Boncompagni. Poi siccome non bastavano più, un giorno andò all’aeroporto e registrò la frase che divenne il primo tormentone radiofonico, “Il signor Ciprandi è desiderato al banco dell’Alitalia”, e dopo si inventò la raccomandazione del ministro dell’Imballaggio Onorevole Pacchettini, prima che arrivassero Marenco e Bracardi a creare altri personaggi demenziali. Idee strambe le aveva sempre avute Boncompagni. Quella mattina, per lo spot delle Poste, scendeva le scale di Trinità dei Monti nel silenzio di un’alba romana: “Signori buongiorno. Devo incontrare Raffaella Carrà, molto dolce, carina, simpatica. Ma come tutte le attrici un po’ stravagante, mi ha invitato a colazione dove abita lei, qui, a Piazza di Spagna”. Guardava l’orologio al polso fingendo stupore: “Sono le cinque del mattino”. Raffaella lo aspettava seduta su un divano nel mezzo della piazza, con una sedia e un tavolino. Ha i capelli corti, un taglio Anni Sessanta, una gonna lunga fino ai piedi. “Io l’ho invitata qui alle cinque perché possiamo stare tranquilli, ancora in pace”, dice lei. E lui: “E parlare del codice di avviamento postale, ricordare a tutti i nostri amici che ci stanno ascoltando di usare questo benedetto codice postale”. Il Cap e il concorso Numero d’oro, che Raffaella presenta, mostrando una busta che gli porge il suo maggiordomo: “Le cartoline si trovano in qualunque ufficio postale e si possono avere gratuitamente. Per concorrere basta rispondere alle tre domande, che sono semplicissime, e poi rispedire senza affrancare. Ci sono premi abbastanza interessanti. Un milione alla settimana e premi finali di dieci milioni. Buona fortuna”.
L’incontro
C’era la lira, altri tempi e altre cifre. La figlia di Gianni, Barbara Boncompagni, ha raccontato alla Stampa che lui il giorno prima aveva detto a Renzo Arbore: “Domani intervisto una ragazza carina, poi ti dico”. Raffaella invece le aveva confessato “che era incuriosita da questo tipo che si svegliava all’alba per uno spot. Dopo qualche mese si misero insieme. Una forza di donna, lui oltretutto aveva dieci anni di più”. Oltre a essere più vecchio aveva anche già tre figlie. “Mia madre voleva che io sposassi un medico o un architetto”, ricordò Raffaella in una intervista al Corriere. “Ma che gli raccontavo?”. La loro relazione durò undici anni, quasi dodici. La storia professionale molto di più. Lui era l’autore di sue canzoni di successo come Tuca Tuca e Tanti Auguri. E dietro “Pronto Raffaella?” e “Carràmba!” c’erano ancora le idee e la regia di Boncompagni. Galeotto fu il Cap.
Qui sopra, lo spot del CAP.