Euro2020: il calcio, la Nazionale e la strada del ritorno alla normalità

La Nazionale di calcio e la strada del ritorno alla normalità di Euro 2020. Non conta vincere, “non conta neppure partecipare. Conta riparare i viventi”. Gabriele Romagnoli è pungente nel suo editoriale venerdì scorso sulla Stampa, nel giorno della prima gara degli Europei di calcio del 2020 – slittati di un anno a causa della pandemia.

L’Europa si cura giocando

Nel mondo, nell’Europa che prova a rialzarsi dopo aver sopportato il peso insostenibile del coronavirus, arriva una grande spinta verso l’alto, una panacea a tempo determinato con scadenza a un mese. “C’è di nuovo un’Europa ferita che prova a rimettersi insieme nel solo modo che gli uomini hanno concepito da quando sono venuti al mondo: giocando – scrive Romagnoli – Si butta con un pallone in cortile e tutti accorrono, improvvisamente guariti dai mali e dai cattivi pensieri”. Ma, avverte, “basta non esagerare, basta ricordare che questo è un palliativo e non una cura”, pur ammettendo che “la scelta, apparsa al tempo scombinata, di sedi sparpagliate da Roma a Baku, si può ora attribuire a una fatale preveggenza, l’inconsapevole intenzione di portare frammenti di gioia dove è passato il dolore”. “Altri rimedi verranno, per ora ‘facciamo finta di essere sani’ – ci riporta a un necessario realismo – Ci sono ancora vittime, ricoverati e ci sono contagiati anche nelle squadre partecipanti. Ci sono bandiere no vax, sì vax, forse vax. Gli stadi non saranno pieni, il calcio non sarà quello vero al cento per cento, ma intanto si vede l’alba oltre i cancelli”.

Lo specchio del Paese

Per la firma bolognese, la nazionale italiana è “uno specchio del Paese che, come in certi luna park, lo riflette al contrario”. “C’è un uomo solo al comando, Roberto Mancinii – prosegue – Si insiste a dire che ‘il fuoriclasse è lui’”. E azzarda un paragone con il presidente del Consiglio: “Il ct è il Draghi del caso: ha carta bianca, si è scelto il futuro”. C’è qualcosa che, più di tutto, stupisce Romagnoli: “È la coesione dei suoi uomini, la disponibilità a cambi e ricambi, la così poco italiana propensione all’obbedienza tattica e al coraggio indossato come una divisa”.