Gli adolescenti e la pandemia. C’è una figlia che chiede a una madre: “Mamma, mamma: mi aiuti a stirare la camicia da notte?”. La ragazza si chiama Giulia, ha 14 anni, ed è figlia di Augusta, dipendente di Postepay. La camicia da notte stirata serve per un pigiama party, che però è un pigiama party virtuale, che si celebra fra ragazzine connesse, di notte, dalle loro stanzette, con un telefonino: “Non posso presentarmi con un pigiama qualsiasi in videocall!!”.
Dormire “insieme”
E così la madre stira la camicia da notte per la figlia, per la videocall virtuale, che inizia con patatine e toast alle 20.30 e finisce alle 5 del mattino, con quella madre che vede una luce azzurrina sotto la porta della stanzetta. La apre, e trova la sua principessa addormentata, con il cellulare sul cuscino: “Provo a chiudere la videochiamata ma mi manca il coraggio. Tutte le faccine di quelle ragazze che dormono ‘insieme’, sono troppo tenere da vedere”.
Passione per la vita
E se questo degli adolescenti durante la pandemia fosse un film, a questo punto ci starebbero bene una dissolvenza, e una melodia struggente, alla Ennio Morricone. Avvertenza. Se non volete piangere non leggete questo articolo. Perché se scopri come si raccontano questi particolari ragazzi ti manca il fiato e poi ti viene da commuoverti. Perché sono tutti belli gli adolescenti della pandemia. Sono tutti angosciati, sorridenti e creativi ma sono anche appesi alle loro connessioni, sono virtualmente liberi ma di fatto imprigionati. Sono attraversati tutti da un sentimento – come direbbe Pierpaolo Pasolini – “di disperata passione per la vita”. Sono adolescenti, abitano tutti in uno stesso Paese e ne rappresentano la biografia perfetta nel tempo del Covid.
Intrappolati dal Covid
Solo che questo Paese nel Paese non è una provincia, non è un territorio che ha perso confine, un lungomare, o un fiume, non è una geografia ma uno stato d’animo: questa è la storia dei figli dei dipendenti di Poste. E i figli di Poste – oggi – sono l’immagine perfetta per raccontare una intera generazione italiana, i figli di Poste sono i figli di una intera generazione intrappolata dal Covid, gli adolescenti della pandemia.
Quelle maratone su Netflix
Ester, la figlia di Francesca, dipendente di Poste a Nuoro, scrive: “Non si può incolpare nessuno per la situazione in cui ci troviamo, l’unica cosa che si può fare è cercare di trarre il meglio da essa, avere coscienza di se stessi”. Sono ragazzi che con queste limitazioni scrivono il loro romanzo di formazione. Lorenzo (figlio di Agostino, dipendente di Viterbo) riflette su questa consapevolezza e sul senso di rimpianto. “È vero, quello che immaginavo, un po’ come tutti gli adolescenti, erano feste con amici, cene in ristoranti e varie uscite, ma tutti questi desideri sono stati limitati. Quindi – conclude – ho deciso di prendere consapevolezza di ciò che realmente sta accadendo e approfittarne per capire meglio cosa possiamo dare di più a noi stessi e agli altri”.
Rabbia genuina
È bella anche la rabbia genuina di Eleonora, 17 anni, romana, figlia un po’ ribelle di Francesca, che dice alla madre: “Da più di un anno vivo in galera!”. Eleonora, piglio da teenager, jeans e maglietta, “si consola con le maratone su Netflix”, come tanti adolescenti chiusi in casa per via della pandemia. Mentre commuovono ancora di più le foto di Simone, quindicenne (anche lui romano) che ritorna al basket in completo giallo, quando si legge il racconto di suo padre Pietro: “Era disperato quando ha dovuto lasciare il campo. Ed ecco che la sua stanza si è trasformata nel palazzetto dello sport, lo stipite superiore della porta nel canestro”.
I 18 anni online
Ed emoziona anche il racconto di Angela, impiegata a Roma, sulla preparazione di una sontuosa festa per i 18 anni di sua figlia Livia. Dibattiti sulla location, scelta della discoteca, progetti sul dress code rosso fuoco per gli abiti, trattative sullo champagne e sulle bollicine e… “ci era sfuggito un piccolo dettaglio: la pandemia. Livia è finita a festeggiare in casa questo tanto atteso diciottesimo – racconta Angela – con mamma, papà, sorellona, zii, cugino, nonna e cagnolino al posto di una acclamante platea di amici”. Nella foto con il in palloncino, abito nero e cravattino Livia sorride. Da sola. Gli amici arriveranno più tardi, a sorpresa, sul monitor del Pc e rigorosamente vestiti di rosso.
“Generazione mascherina”
E che dire di Alessandro, studente dell’istituto alberghiero che con la Dad preparava le crespelle alla madre Maria Antonietta dipendente di Novara? Per fortuna che c’è l’ottimismo incrollabile, e già declinato al futuro, di Cristiano, 15enne figlio di Francesca impiegata in RUO. “Racconteremo la nostra ‘generazione mascherina’ e di tutto quello che ci ha insegnato. E io sicuramente sorriderò del mio esame di terza media da casa e dei miei compleanni con gli amici in streaming”. Quasi un manifesto generazionale.
Ritratto colorato e dolente
Dalle camerette arrivano le prime autobiografie di una generazione che paga il prezzo più alto e immateriale, il sacrifico dell’adolescenza. Potremmo chiamarla la “generazione mascherina” dei figli di Poste. Che mai come questa volta sono il ritratto colorato e dolente di un intero Paese; di tutti i figli d’Italia rimasti intrappolati e costretti alla solitudine, spogliati della loro ricchezza più grande – la socialità – appassionati e reclusi dal Covid. Appesi agli schermi azzurrini delle loro fragili connessioni – come ci racconta poeticamente Augusta – ma mai vinti.