Il Paese dopo il sisma: quando il servizio postale segna il ritorno alla vita

Un uomo cammina lungo le rotaie della ferrovia, più di cento anni fa. È coperto di polvere. Polvere sui vestiti strappati, nei capelli, sulla faccia e polvere negli occhi. E negli occhi conserva incredulo le immagini che ha raccolto fra le macerie della città, dopo essere sopravvissuto al disastro. È successo a Messina, all’alba del 28 dicembre 1908, mentre la gente era immersa ancora nel sonno. Certe catastrofi durano settimane, mesi, altre invece meno di un minuto. Trentasette secondi. Un terremoto del decimo grado della scala Mercalli che rade al suolo gli edifici fragili dell’epoca. E poi il maremoto: l’acqua dello Stretto si ritira per duecento metri, una specie di rincorsa, prima di abbattersi sopra i muri crollati degli edifici di Messina e Reggio Calabria, dove muoiono quasi centomila persone. Si chiama Antonino Barreca, quell’uomo, e lavora in Poste da trent’anni. Postale ambulante fra Siracusa e Messina: accompagna lettere, sacchi e merci da una città all’altra a bordo del treno. Si è salvato per miracolo. E lo ha capito subito che gli uffici postali della città non esistono più e che, senza telegrafi né linee telefoniche, nessuno arriverà in soccorso. Perciò cammina. Per venti chilometri, fra altre scosse, sulle rotaie lungo la riviera di case distrutte, masserizie, corpi senza vita e gente in lacrime, fino a Scaletta. L’ufficio delle Poste è diroccato ma il telegrafo funziona. “Servizio urgentissimo – precedenza assoluta – Direzione provinciale Poste Siracusa – Scampata miracolosamente vita, disconosco sorte miei compagni, Messina distrutta – Antonino Barreca”.

Insieme per ricostruire

C’è l’impegno di un uomo delle Poste nella lenta, complicata rinascita di Messina e Reggio Calabria, a cominciare da quella prima notizia che, sul filo del telegrafo, raggiunge l’Italia e persino l’America, il mondo. E c’è l’impegno di Poste nella ricostruzione, giorno dopo giorno, di un tessuto umano e urbanistico sfigurato, che chiede prima soccorso e poi sostegno per ricominciare. Dopo quel telegramma, nei giorni, nei mesi successivi, Poste fa il suo dovere. Inviando funzionari, agenti e materiali nei luoghi devastati, allestendo uffici provvisori e temporanee stazioni telegrafiche nei punti prossimi alle città distrutte, lavorando alla modifica della rete telegrafica per assorbire l’immensa mole di corrispondenza che si affolla verso le zone colpite. È difficile e rischioso lavorare. Fa pure freddo, tira un vento gelido, imperversa la pioggia. In vari tratti gli operatori postali all’opera per riattivare il servizio rischiano la loro vita, poiché le scosse di assestamento provocano pericolose frane continue. I pacchi contenenti materiale deperibile vengono restituiti al mittente o distrutti, mentre è favorito l’invio di pacchi con medicinali, indumenti, oggetti di soccorso. Viene mantenuto il servizio delle raccomandate, per consentire l’invio di piccole somme in danaro, e tutte le corrispondenze private. La popolazione vuole conoscere la sorte dei propri congiunti: se morti, dispersi, feriti o scampati all’immane catastrofe.

La storia si ripete

Il terremoto ha mietuto parecchie vittime anche tra i dipendenti postali. Si stabilisce dunque che vengano “concessi aiuti ai procacci e agli agenti rurali superstiti o alle loro vedove, agli orfani”. Molte Direzioni generali di Poste e dei Telegrafici di paesi stranieri inviano contributi in denaro a favore delle famiglie degli impiegati postali colpiti dal terremoto. Mentre un nuovo anno inizia, il 1909, in Sicilia e Calabria si riaprono le vie di comunicazione, in virtù dell’impegno di tanti, di provvedimenti di urgenza continui, della solidarietà unanime. Pur nello sfinimento morale della tragedia, lentamente ma con fiducia, si torna alla vita. Un cammino che sarà ripercorso per ogni altro cataclisma a venire. Nelle parole della Rassegna Postelegrafica pubblicata nel dicembre 1980, per il terremoto in Irpinia (novembre 1980), ritroviamo la stessa forza di Antonino Barreca e dei suoi contemporanei, la stessa energia vitale degli operatori postali dell’Aquila (aprile 2009) e di Amatrice (febbraio 2016). La stessa degli sportellisti e dei dirigenti che in questi giorni, mascherina sul viso, si adoperano per offrire alla gente un servizio e una speranza. “L’opera dei funzionari e degli operatori del Ministero delle Poste ha contribuito ad una prima rinascita delle zone colpite dal terremoto”, si legge sulla rassegna. Il servizio postale infatti “rappresenta aspetto importante della vita di una comunità e vedersene privato può provocare gravi danni di ordine non soltanto economico nelle popolazioni. Il fatto che le forze dell’amministrazione postale si siano subito prodigate per il ripristino dei servizi è indicativo della volontà di non abbandonare quelle zone così duramente colpite ma di fare in modo che nelle stesse la vita ricominci, a mano a mano, a rinascere. Il lavoro del personale delle poste, insieme a quello delle Forze Armate, della Polizia, dei Carabinieri, dei Vigili del Fuoco e di tutti coloro che, volontariamente, hanno prestato – e continuano a prestare – la loro opera in favore delle popolazioni disastrate, è indicativo di un’Italia che non vuole cedere di fronte allo scatenarsi degli eventi”. Ieri, come oggi.

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