Due pacchi con due palloni incartati che entrano nella storia, il racconto per immagini di un Europeo che diventa l’icona di una vittoria, con un semplice cambio di lettera nel destinatario: da “It’s coming home” a “It’s coming Rome”. C’è qualcosa di bello e raffinato – e forse di simbolico – che va indagato, nella “beffa” di Poste Italiane a Royal Mail: qualcosa che racconta bene un totale ribaltamento di ruolo che è la vera cifra della notte di Wembley. Loro, gli inglesi – per una volta – sono stati l’antisportività di chi non bacia la medaglia, noi siamo stati l’eleganza. Loro, gli inglesi – per una volta – sono stati il difensivismo esasperato che diventa catenaccio, noi la passione, che getta il cuore oltre l’ostacolo. Loro la provocazione che anima un duello, noi l’ironia britannica che lo chiude, con una vittoria schiacciante.
La sfida dei post
Ed ecco la storia: gli inglesi, prima della finale di Euro 2020 contro l’Italia, già avevano iniziato a festeggiare intorno al celeberrimo ritornello del brano da stadio “Three Lions (Football’s coming home)”. Noi, invece, avevamo le nostre “Notti magiche” di Gianna Nannini ed Edoardo Bennato (che gli Azzurri avevano eletto a bandiera, e che cantavano un po’ stonati), loro avevano questo brano-simbolo composto dalla band Lightning Seeds e dai comici David Baddiel e Franck Skinner nel 1996, quando si era giocato – come stavolta – in Inghilterra. Il tormentone declamato del “Coming home” è diventato, con il senno del poi, una profezia vagamente auto-iettatoria, e addirittura un incentivo all’errore, se è vero che le poste inglesi avevano già studiato non uno, ma ben due francobolli celebrativi, già pronti prima della finale. In questo clima era nata la foto iconica del pallone impacchettato: un guanto di sfida un po’ spavaldo e spaccone, una guasconata alla Vittorio Gassman del “Sorpasso”.
Cambio di consonante
In questa storia i tempi sono tutto, e sono anche la cifra dello stile: in un primo momento Poste non risponde e non raccoglie la provocazione. Poi, solo dopo la finale, risponde “pacco su pacco”: pacco uno, “Home” contro pacco due “Rome”, una semplice sostituzione della “H” di Home, cancella, con una “R”: di “Rome”, aggiunta sopra con un tratto di pennarello. Scrive un giudice terzo di prestigio indiscusso, “Creapills” (il magazine francese del design e della creatività, per eccellenza) riportando queste due immagini: “A sinistra, il pacco delle poste inglesi prima della finale. A destra: il pacco delle poste italiane dopo la finale. Tacle parfait”. Ovvero: un intervento rischioso, in scivolata, ma tecnicamente “perfetto”.
L’emoticon in lacrime
A questo punto, per una volta, gli inglesi si ricordano di essere inglesi: Royal Mail, su Twitter decide di postare la foto, accompagnata da un emoticon piangente. Il pacco alla fine è arrivato in Italia. Avevo sostenuto nei giorni prima della finale, forse un po’ temerariamente, che il colpo di tacco di Roberto Mancini (un tocco di spalle, fatto senza girarsi e senza sgualcire il pantalone) era già una ipoteca sul titolo, una splendida icona riassuntiva dell’Italia vincente (quella che aveva già fatto il suo Recovery Plan). Quel tacco era eleganza, bellezza, sintesi. La immaginavo come una iperbole, invece quella sintesi è diventata realtà. Era su tutti i giornali l’immagine di Mancini che consegna il pacco giallo: è il pacco, dunque, dopo che è diventato protagonista, lo abbiamo recapitato agli inglesi, e il cerchio della storia a ruoli ribaltati si è chiuso così. Abbiamo vinto come un tempo sapevano fare gli inglesi, nel segno di questa eleganza, e gli inglesi – invece – sono diventati quegli strani tipi antisportivi che si strappano le medaglie d’argento dal collo, sono quei Reali attoniti che lasciano solo il Presidente Sergio Mattarella dopo i rigori, sono quei tifosi increduli che lasciano lo stadio prima della premiazione. Noi siamo quelli dell’ironia e del cuore: Azzurri che chiamano la mamma e papà dal campo con il telefonino, giocatori che salutano i parenti dalla tv, o che sventolano la bandiera dei Quattro Mori, proprio nel tempio del calcio di Oltremanica. L’Italia del pacco, del colpo gobbo, diventa il nuovo, potente marketing di una nazione, una cartolina che fa il giro del mondo. Ma non è solo un gioco di ruolo. Secondo i primi calcoli degli economisti questa galleria di immagini, e la vittoria che raccontano, valgono (decimale in più, decimale di meno) 12 miliardi di euro: una piccola finanziaria, secondo gli esperti di Confcommercio sarà il 10% di export in più.
Il ritorno del made in Italy
Questa vittoria, e questo pacco – dunque – sono il vettore con cui il Made in Italy torna nel mondo. Bello tornare a vivere, anche con un piccolo colpo di tacco al Pil. Non fatevi ingannare dalle apparenze: questa Italia non è un terno al lotto, non è una criptovaluta, non è un bel film alla “giovani carini e disoccupati” – dove gli outsider fanno fortuna in modo inaspettato – non è nemmeno il “Leicester delle nazionali”, ovvero un sogno impossibile che diventa realtà solo per un capriccio del caso, o per una coincidenza irripetibile. Questa Italia è il ciuffo con la frezza Roberto Mancini, l’italiano che ha conquistato l’Europeo in Inghilterra, dopo aver conquistato – da italiano – l’Inghilterra. Se ci pensate, questa è una Nazionale di “bravi ragazzi” che non hanno bisogno di esibirsi sui social, pur di farsi notare. Questi Azzurri non hanno bisogno di voler essere, perché sono già: sono la difesa intergenerazionale dove si incontrano i due vecchietti terribili – Giorgio Chiellini e Leo Bonucci – e l’enfant terrible, Gigio Donnarumma (il gigante con le manone che ha sedotto anche Mario Draghi). Questa Italia è il centrocampo “eurosardo” Marco Verratti-Niccoló Barella. Questa squadra sono le stampelle commoventi di Leonardo Spinazzola, i suoi saltoni zoppicanti in diretta tv per agguantare la medaglia.
Mancini, simbolo del gruppo
Questa Italia piace a tutti, ma – come accade solo per le grandi squadre – piace ad ognuno per un motivo diverso. Ognuno, in questa squadra, trova la sua icona prediletta. Ma quella che le riassume tutte è lui: Mancini. Il Mancio che ha selezionato i talenti giovani prima che gli altri li scoprissero e lì riconoscessero. Il “Mancio” del video che detta la formazione come se fosse un Al Pacino di “Ogni maledetta domenica” e dice: “Voi siete padroni del vostro destino”. Anche questo messaggio – a pensarci bene – non è per nulla intonato ai nostri ancestrali riti mammoni, al vittimismo che è stato il nostro vero, antico, demone nazionale. Il ciuffo di Mancini è in questo Europeo, l’equivalente di quello che fu la pipa di Bearzot per i campioni di Spagna. Ovvero: la migliore immagine possibile dell’Italia che possiamo offrire al mondo. Mancini, con la sua noncuranza sontuosa e con quel suo colpo di tacco di spalle che non gualcisce la piega del vestito perfettamente stirato, Mancini con la sua bella storia sportiva in una provinciale che è diventata grande, Mancini con l’inglese perfetto di chi è stato legione straniera. Per questo Mancio è già l’Italia che ha fatto il Recovery, e non quella sotto esame che si chiede se riuscirà a farlo. E – viceversa – l’Italia che combatte in Europa, con il suo debito sulle spalle, oggi ha un compito più facile in virtù di questa vittoria. Il marketing del pacco è molto più di una burla: è uno stile, che adesso gira per il mondo. E arriva a destinazione con il suo messaggio: “Rome”, e non “home”. Capotavola, stavolta, è dove ci sediamo noi.
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