Sociali e digitali: 160 anni dopo i portalettere restano un riferimento

Nella foto sorride sotto la mascherina, con la divisa da portalettere, aperta davanti, che spara agli occhi i suoi colori catarifrangenti e il suo stile hi-tech, ed è così moderna e così casual. Il tempo va veloce, e noi ci perdiamo a chiederci che cosa succede adesso. Si chiama Marina ed è finita sul giornale perché grazie a lei un vaccino anticovid è arrivato in tempo. Non è una lettera, non esistono più le lettere. Quelle le portava Nicola Carugno, il primo postino di San Salvo, in Abruzzo, assunto nel 1864 perché parlava un po’ di francese, e forse era come in questa immagine del cioccolato Poulain, “qualité sans rivale”, con i suoi baffi a manubrio, il berretto con la visiera, il borsone a tracolla e i bottoni della giacca che luccicavano come l’oro. Le Poste vengono da qui.

Nella Liguria profonda

Oggi il francese non serve più. Anche dove lavora Marina: fa la portalettere a Osiglia, Millesimo e Roccavignale, dentro un’area mica tanto piccola che comincia a perdersi alle spalle di Savona, salendo per le coste e i boschi che si prolungano verso il Piemonte e Ceva, il Cuneese, le Alpi. È che oggi le Poste sono un’altra cosa. Marina Mellogno è finita sul giornale, perché i vaccinatori della Asl non riuscivano a trovare le case nascoste nella campagna, e siccome avevano una certa fretta, visto che le fiale hanno solo poche ore di autonomia, lei è salita con loro sulla macchina e ha fatto strada. Era un percorso complicato da trovare per chi non ha una profonda conoscenza del territorio come una portalettere. Al Secolo XIX, lei ha spiegato che “i sanitari erano preoccupati, perché non riuscivano a portare i vaccini a delle persone che li stavano aspettando. Mi sono offerta di accompagnarli, sono salita in macchina e in un quarto d’ora siamo arrivati”.

Lavoro di squadra

Sono i nuovi postini, con le loro divise sgargianti e il loro palmare, sono i volti di un cambiamento che va veloce come il tempo. Hanno le facce di Marina Mellogno o di Paolo De Angelis, portalettere di Ancona, così fiero del suo palmare con il quale ha organizza le prenotazioni per il vaccino. “Per me è una emozione unica, perché sento di offrire un contributo reale al mio Paese, aiutando tante persone a tornare a una vita normale. È un momento drammatico, e possiamo uscirne lavorando tutti insieme”. Nella battaglia contro la pandemia, Poste Italiane ha preferito scendere in campo, essere schierata con la gente, assieme ai suoi postini. Ha approntato una piattaforma per la prenotazione dei vaccini gratuita al servizio delle regioni, mettendo a disposizione le sue strutture logistiche, in collaborazione con l’Esercito.

Aiuto alla società

Gerolamo Di Carmelo e Antonella Gandolfo, portalettere di Palermo, dicono che oggi la gente li “vede come un punto di riferimento, ed è una sensazione che ci riempie di orgoglio”. Come spiega Giuseppina Pompeani – Ancona, zona di Collemarino – il loro lavoro è diventato “un ottimo canale per quelle persone anziane e malate che non possono uscire di casa e non hanno dimestichezza con il computer. Grazie al nostro intervento riescono a prenotarsi in tutta tranquillità”. Tutto questo è potuto accadere perché Poste italiane non ha fatto delle logiche del business l’unico strumento del cambiamento, come ci ripete un suo manager, “ma ha trovato nella vicinanza al territorio e nell’aiuto alla società, in uno dei suoi momenti più difficili, il suo elemento caratterizzante di identità e riconoscibilità”.

Un ruolo sociale mai perso

È così che il postino che sapeva un po’ di francese, Nicola Carugno, è diventato quasi 150 anni dopo la portalettere Marina Mellogno, che fa strada ai sanitari. Anche allora il postino era al servizio della comunità. Ma erano anni lontani e la società aveva altri bisogni. La prima volta che si parla del portalettere è nel “Regolamento disciplinare degli impiegati delle Poste”, introdotto il 15 dicembre 1860 ed entrato in vigore nel gennaio del 1861. Per diventare portalettere bisognava essere un cittadino del Regno, aver superato la maggiore età, saper leggere, scrivere e fare di conto, e possedere almeno una conoscenza discreta del francese, lingua internazionale dei sistemi postali. Nicola Carugno era stato assunto perché rispondeva a queste richieste. Ma soprattutto aveva dovuto dimostrare di essere uomo di “specchiata onestà”. Il postino aveva degli obblighi: non poteva fermarsi nei bar o nei caffè, fumare in servizio, e neppure chiacchierare troppo con la gente. Ma queste cose cambiarono presto, perché a quei tempi l’Italia era un paese con un grande numero di analfabeti e quelli come Carugno cominciarono a leggere le lettere a tutti quelli che non potevano farlo.

L’attesa del postino

Per trasportare la corrispondenza alla stazione di Vasto fu incaricato invece Fabrizio Giuseppe, detto Iseppe lu carruzziere, che organizzò anche i viaggi in carrozza per Roma e Napoli, senza dimenticare mai di portarsi dietro la sua doppietta. I passeggeri prima di partire andavano in chiesa a confessarsi e a prendere l’eucarestia, perché allora era facile morire su quelle strade infestate dai banditi. C’erano poche donne. La divisa che portavano era una gonna lunga e stretta, un tailleur elegante di colori scuri che fasciava loro i fianchi come si usava all’epoca. Solo con la guerra, quando gli uomini erano al fronte e dovevano sostituirli, cominciarono a vestirsi come loro. Nell’era del digitale, con l’azienda di Poste all’avanguardia nella modernizzazione del suo sistema, qualcosa è andato perduto, come ha raccontato Mascia, portalettere abruzzese di Sambuceto: “Prima del Covid leggevo le lettere agli anziani, che mi offrivano un caffè con i biscotti. Purtroppo, tutto questo è finito. Adesso ci aspettano sul balcone, ci salutano a distanza sventolando le braccia. Ma tutte le volte che arriviamo è sempre a una festa”.

Il sorriso di Poste

Come è successo a Marina Mellogno, quando è apparsa davanti a una cascina assieme ai sanitari della Asl con i vaccini. L’anziano sull’uscio le ha sorriso: “E lei cosa ci fa qui?”. Ha risposto il medico, Vincenzo Ingravalieri, mentre scendeva dall’auto con la sua borsa frigo dicendo che “se non c’era lei, non so come avremmo fatto ad arrivare in tempo”. Perché il tempo corre veloce, come ha corso da Nicola Carugno fino a questa cascina sperduta nei bricchi in faccia ai campi battuti, o davanti alla casa di Guido Foritano, che ha più di 70 anni e poca dimestichezza col computer, nella frazione di Trepidò, a Crotone, dove ci ha pensato la portalettere Maria Elia a fissargli l’appuntamento col vaccino. Lui non finiva più di ringraziare. Lei ha sorriso nella sua bella divisa sgargiante. Ecco cosa sono oggi le Poste. Sono anche questo.

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