Gandhi

Negli attuali venti di guerra in Europa farebbe bene a tutti – cittadini e governanti – rileggere la Lettera che Gandhi scrisse ad Hitler alla vigilia di Natale 1940 per invitarlo a un accordo con la Gran Bretagna ponendo fine immediata al conflitto che poi – allargandosi – avrebbe sconvolto il mondo. La lettera non giunse mai al destinatario perché fu bloccata dal governo indiano nel timore che potesse compromettere i rapporti diplomatici con la Germania. Né si saprà mai l’esito che avrebbe sortito.

Il senso della nonviolenza

Una prima lettera del 23 luglio 1939 era già stata bloccata dal governo. Hitler non ricevette mai queste lettere che restano, perciò, una testimonianza sul senso e il valore della nonviolenza a garanzia di una pace giusta in ogni contesa. Si fonda infatti non sulla forza, ma sulla ragione e la verità. In ogni guerra si è alle solite: scatta l’ideologia del nemico che travolge ogni buona intenzione. Si punta tutto sulla vittoria. Lo scontro s’impantana nella rincorsa alle armi con spese esorbitanti pur di poterne disporre in quantità industriale. È una deriva dell’intelligenza e della verità, oscurate dalla propaganda tuttora attuale, per cui sfogliare la seconda lettera di Gandhi a Hitler è un invito per tornare alla ragione. “Caro amico – è l’inizio della lettera di un non cristiano che potrebbe essere considerato un maestro universale del vivere da cristiani -, se mi rivolgo a lei chiamandola amico non è per formalità. Io non ho nemici. La mia occupazione negli ultimi ventitré anni è consistita nell’ottenere l’amicizia dell’umanità intera, mostrandomi amico degli esseri umani al di là delle distinzioni di razza, colore o credo. Spero che abbia il tempo e il desiderio di sapere in che modo una parte consistente di umanità, che vive sotto l’influenza di questa dottrina dell’amicizia universale, considera la sua azione. Non abbiamo dubbi riguardo al suo coraggio e alla sua devozione verso la sua patria, né crediamo che lei sia il mostro descritto dai suoi oppositori. Ma i suoi scritti e le sue dichiarazioni e quelli dei suoi amici e ammiratori lasciano pochi dubbi sul fatto che molte delle sue azioni sono mostruose e avverse alla dignità umana, soprattutto nel giudizio di uomini che come me credono nell’amicizia universale. Ad esempio l’umiliazione della Cecoslovacchia, la violenza contro la Polonia e l’annessione della Danimarca”.

La resistenza

In queste righe si riflette l’analoga condizione della guerra scatenata da Putin ai nostri giorni. L’odio non è mai un atto di coraggio e non paga contro nessuno. La forza generatrice di pace sta nel mai cedere all’odio scambiato per coraggio. “Sono consapevole – rileva con finezza di verità Gandhi a Hitler – che, secondo la sua visione della vita, queste spoliazioni sono atti virtuosi. Ma noi siamo stati abituati fin dall’infanzia a considerare atti simili come atti che degradano l’umanità. Per questo non possiamo assolutamente augurarci che le sue armi abbiano successo. Ma la nostra posizione è unica. Noi resistiamo all’imperialismo britannico non meno che al nazismo. Se c’è una differenza, è nel grado. Un quinto della razza umana è stato messo sotto lo stivale britannico, con mezzi non ineccepibili. La nostra resistenza non vuol dire che vogliamo far male al popolo inglese. Cerchiamo di convertirlo, non di sconfiggerlo sul campo di battaglia. La nostra è una rivolta non armata contro il dominio britannico. Sia che riusciamo a convertirlo o no, siamo determinati a rendere impossibile il loro dominio con la non cooperazione non violenta. Si tratta di un metodo per sua natura indifettibile. È basato sul riconoscimento del fatto che nessuno sfruttatore può raggiungere il suo scopo senza un certo grado di collaborazione, volontaria o forzata, della vittima. I nostri governanti potranno avere la nostra terra e i nostri corpi, ma non le nostre anime”.

La concretezza di Gandhi

Nella tecnica non violenta “non c’è una cosa come la sconfitta. Si tratta di vincere o morire, senza uccidere o arrecare sofferenza. Può essere impiegata praticamente senza denaro e ovviamente senza l’aiuto di quella scienza della distruzione che avete portato a tale perfezione… Non può essere orgoglioso del racconto di azioni crudeli, benché abilmente pianificate. Quindi, in nome dell’umanità, mi appello a lei affinché fermi la guerra. Non ci perderà nulla a rimettere tutti i motivi di disputa tra lei e la Gran Bretagna a un tribunale internazionale scelto comunemente. Se avrà successo nella guerra, ciò non significherà che ha ragione. Ciò proverà soltanto che il suo potere di distruzione era maggiore. Al contrario, una sentenza da parte di un tribunale imparziale mostrerà, per quanto umanamente possibile, da quale parte sta la ragione”. Dare a Gandhi dell’utopista è forse sbrigativo. Piuttosto concreto, invece, per liberare l’umanità da dolore e morte aggiuntivi.