Una promozione in serie A con la Cremonese, lo storico scudetto con la Sampdoria, la Champions con la Juventus, i successi londinesi da giocatore e allenatore con il Chelsea. Non c’è squadra dove Gianluca Vialli abbia giocato senza lasciare il segno. Non c’è luogo dove sia passato senza essere amato da tifosi e compagni. Cremona, Genova, Torino, Londra: calcisticamente, Vialli ha avuto quattro vite, senza dimenticare la maglia azzurra, indossata con alterne fortune ma sempre con grande orgoglio e senso di appartenenza, come testimoniato anche dal suo ritorno in azzurro nelle vesti di capo delegazione della Nazionale campione d’Europa a Wembley nel 2021, al fianco dell’amico di sempre diventato CT, Roberto Mancini.
Gli inizi a Cremona
Il grande Gianni Brera lo aveva ribattezzato “Stradivialli”, accomunandolo a un violino unico e pregiato costruito dal liutaio che con l’allora giovane condivideva i natali cremonesi. Istrionico come Ugo Tognazzi, carismatico come Mina, altri due illustri concittadini, Vialli, nato a Cremona il 9 luglio 1964, con la squadra della sua città esordisce tra i professionisti in serie C1 nella stagione 1980-81. Nei successivi campionati di B, gioca titolare fino a contribuire con 10 reti alla promozione nella massima serie, con Emiliano Mondonico che lo impiega come tornante.
Gli anni d’oro alla Samp
La consacrazione arriva a Genova, sponda Samp, dove Gianluca si trasferisce corteggiato dal presidente blucerchiato Paolo Mantovani e convinto dal coetaneo Roberto Mancini, conosciuto in Under 21 e arrivato sotto la Lanterna due estati prima già con la fama del futuro campione. Se il Mancio è il Bimbo d’Oro della Samp di Bersellini, Vialli rappresenta la scommessa. Dopo due stagioni altalenanti per Gianluca, in cui la Samp centra comunque il suo primo storico successo in Coppa Italia, l’arrivo di Boskov sulla panchina della Samp segna la svolta nell’attacco blucerchiato: Mancini inventa, Vialli segna, si consolida il mito dei Gemelli del Gol, amatissimi dai tifosi, conosciuti in tutta Europa, anche per quella maglia così bella. Mantovani se li tiene stretti, rifiutando le lusinghe di Agnelli e Berlusconi. E Vialli e Mancini pensano solo a vincere con la Sampdoria. Le cronache dell’epoca narrano che l’allora padrone della Fininvest telefonò personalmente a Gianluca dicendogli “cosa fa lei a Genova? Venga al Milan a vincere tutto”. Il bomber di Cremona rispose che a Milano non si sarebbe potuto affacciare sul mare come faceva dalla finestra della sua villa di Quinto ogni mattina. Forse una leggenda, ma che sintetizza lo spirito e la fama di quella Samp: una squadra unita, che amava divertirsi anche fuori dal campo ed essere coccolata da società e tifosi. Per Vialli e compagni arrivano altre due Coppe Italia, una Coppa delle Coppe e lo scudetto del 1991, con Luca che chiude il campionato da capocannoniere. L’anno successivo, al termine di una incredibile cavalcata in Europa, la truppa di Boskov raggiunge la finale di Wembley contro il Barcellona di Johan Cruijff, perdendo soltanto negli ultimi minuti dei supplementari con Pagliuca trafitto da una punizione di Koeman. Quella notte piangono tutti perché la favola blucerchiata finisce e dopo 8 stagioni Vialli lascia la Samp.
Il matrimonio con la Juventus
Per portarlo a Torino, una Juventus in cerca di riscatto dopo anni di digiuno in tema di scudetti, spende 40 miliardi, la cifra più alta allora sborsata al mondo per assicurarsi le prestazioni di un calciatore. Ma Torino non è l’ambiente familiare di Genova, e i primi due anni sotto la guida di Giovanni Trapattoni sono tutt’altro che esaltanti. Non inganni la Coppa Uefa conquistata nel 1993: tra infortuni e difficoltà tattiche, Gianluca non sembra più lui, l’affiatamento con Roberto Baggio sembra lontano anni luce da quello che aveva con Mancini. Ma come accadde già all’ombra della Lanterna, è un nuovo allenatore a cambiare il corso della storia: con l’arrivo di Marcello Lippi sulla panchina della Juventus, Vialli diventa il grande trascinatore nella vittoria del campionato 1994-95. Un fotogramma tra i tanti, il gol in rovesciata a Cremona, nella sua città e contro la squadra in cui è cresciuto. Come a dire, nessuno è profeta in patria ma Luca fa eccezione. C’è un video amatoriale che circola sui social, consumato dai tifosi bianconeri, in cui Vialli riprende il backstage dei quarti di finale di Champions tra Juve e Real Madrid: è il 20 marzo 1996, i bianconeri superano 2-0 i blancos ribaltando la sconfitta di misura del Bernabeu. Un video che dimostra come Vialli sia ormai una cosa sola con la Vecchia Signora, dentro e fuori dal campo. Come l’avventura blucerchiata, anche quella juventina vede come ultimo atto una finale di Champions: ma contro l’Ajax all’Olimpico di Roma, il 22 maggio 1996, l’esito è opposto rispetto a quello crudele di quattro anni prima a Wembley. Gianluca, prima dell’esplosione di gioia, non ha il coraggio di guardare i rigori, proprio come farà 25 anni dopo nella finale degli Europei tra Italia e Inghilterra.
L’avventura londinese
Dopo Torino, un’altra scelta di vita attende Vialli, che parte insieme ad altre due celebrità del nostro calcio, Gianfranco Zola e Roberto Di Matteo, con destinazione Londra per accasarsi in un Chelsea in cerca di rilancio. Neanche a dirlo, il suo carattere da trascinatore, in campo e fuori, Vialli conquista anche gli inglesi. Nella stagione d’esordio arriva la prestigiosa Coppa d’Inghilterra. Tuttavia, i rapporti con il player manager Ruud Gullit non sono buoni. Nel febbraio 1998 l’olandese lascia la panchina del Chelsea e il presidente del club Ken Bates affida la guida tecnica proprio a Vialli. Nelle vesti di allenatore-giocatore alza al cielo la Coppa di Lega e la Coppa delle Coppe. Dalla stagione successiva, lascia il campo da gioco per dedicarsi esclusivamente alla carriera di allenatore. Con il Chelsea vince ancora: una Supercoppa europea, un’altra Coppa d’Inghilterra e una Charity Shield. Dopo una sfortunata e breve parentesi da allenatore del Watford, squadra della First Division inglese allora di proprietà di Elton John, Vialli lascia definitivamente il calcio, dedicandosi alla carriera di opinionista e testimonial. Fino all’ingresso nella Figc, dalla fine del 2019, come capo delegazione della nazionale italiana.