Papa Francesco

C’è una foto di papa Francesco che non circola quasi più, ma potrebbe risvegliare come uno squillo di tromba la diplomazia spaesata in questo tempo di guerra e riassumere i suoi dieci anni di pontificato: un papa che bacia i piedi per la pace in Sud Sudan. Tutti ricorderanno (o forse no) quel 10 aprile 2019 a Casa Santa Marta, al termine di due giorni di ritiro spirituale per le autorità civili ed ecclesiastiche, l’inatteso inginocchiarsi e prostrarsi di Francesco per baciare i piedi al presidente della Repubblica del Sud Sudan Salva Kiir Mayardit, e ai vicepresidenti designati presenti, tra cui Riek Machar e Rebecca Nyandeng De Mabio. Mai vista una cosa simile in ambito diplomatico, per nulla protocollare. Sorprendente e che lascia i presenti senza fiato. Nessuno ha la forza di contraddirlo, impedirlo, criticarlo tanto è solitario, controcanto del galateo di chi regna o governa.

La diplomazia dell’umiltà

Quel gesto, oggi che Papa Francesco compie dieci anni di pontificato, nel mezzo di una guerra sanguinosa e violenta che si combatte in Ucraina ma coinvolge tanti Paesi nel mondo, trova una sua spiegazione in un’analisi di Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica nel volume che giunge questi giorni nelle librerie con il titolo “L’Atlante di Francesco. Vaticano e politica internazionale” (Marsilio-Feltrinelli ed.). La rivoluzione di Francesco – ricorda Spadaro – consiste nella diplomazia dell’umiltà. Spadaro cita lo stesso Francesco che, nell’incontro di gennaio scorso con gli ambasciatori dei 183 Paesi accreditati in Vaticano, nel ricordo dei 60 anni dell’enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris, ha dato una singolare definizione della diplomazia. “Si può dire che essa è un esercizio di umiltà perché richiede di sacrificare un po’ di amor proprio per entrare in rapporto con l’altro, per comprenderne le ragioni e i punti di vista, contrapponendosi così all’orgoglio e alla superbia umana, causa di ogni volontà belligerante”. Nulla di più chiaro per cogliere le prospettive dell’azione del papa nei dieci anni trascorsi dal 13 marzo 2013, data che segnò da subito nella fantasia del popolo che Francesco sarebbe stato un papa del cambiamento non solo annunciato, ma messo in cantiere con riforme importanti delle strutture e radicali nella prassi e nel pensiero cattolico. Ci si cullava nella Chiesa e nelle società sul benessere disquisendo tra tanti artifici sociologici circa la definizione di società: dei consumi, del rischio, senza dolore, dei social. Mentalmente garantiti dalla prassi del “si è sempre fatto così”.

Ecologia e fraternità

Francesco ha scompigliato una Chiesa piena di mondanità e clericalismo e questa società “malata di consumismo”, proponendo di fare diversamente per darsi un futuro. Ha lanciato due encicliche per nulla scontate su ecologia e fraternità; ha firmato una Dichiarazione congiunta  con un grande leader musulmano  sulla fratellanza universale; ha aperto le porte del palazzo ai poveri, senza tetto, barboni, fragili, esclusi chiedendo alla Chiesa di farsi ospedale da campo e alla politica di prevedere società inclusive. Il banco di prova più spinoso del nuovo orizzonte è stato ed è tuttora la questione migranti. Fenomeno epocale che va governato e risolto praticando in armonia quattro verbi: accogliere, promuovere, proteggere e integrare. “Si può dire – precisa il cardinale gesuita Michael Czerny prefetto del Dicastero Vaticano per lo sviluppo integrale – che il tema migratorio è il “sacramento” del magistero di Papa Francesco. Questa problematica così concreta, così umana e anche così “santa” nel senso della sua grandissima importanza, lui ha cercato di comunicarla a tutti i fedeli e non solo.

Papa Francesco e la dignità della vita umana

A tutti nel mondo il papa ha fatto capire quanto è fondamentale la dignità della vita umana e la necessità di rispondere al nostro vicino. Lui ha reso rilevante il fenomeno migratorio, ha reso evidente la presenza di Gesù, della Santa Famiglia, fra coloro che fuggono”. In effetti questa definizione di “sacramento” attribuita al tema migratorio è qualcosa di veramente nuovo per le conseguenze che comporta nella mentalità e nella pratica. I Sacramenti nella dottrina cristiani indicano quei segni che facendoli e ricevendoli comunicano la grazia di Dio, sono quindi mezzi di salvezza spirituale. Si può dunque capire quanto lontana e profonda sia la visione di Papa Francesco dei migranti rispetto alle alchimie che si rimpallano le cancellerie europee sulla questione. Dieci anni nella chiarezza sulla necessità di cambiare registro radicalmente anche sull’economia e sulla guerra.

Economia e pace

Economia e guerra sono strettamente legate. Francesco propone di cambiare in economia e pace; dalle armi per uccidere a strumentazione civile per migliorare la vita di tutti. Sembrano enunciati semplici, lineari; in realtà facili solo a dirsi. Difficili a farsi. La loro realizzazione non è dietro l’angolo. Occorre cambiare mentalità. Francesco lo dice usando la formula evangelica di conversione. Riflettendo sull’insegnamento e sulla pratica di Francesco torna, talvolta, alla mente quanto hanno detto e fatto alcuni cristiani negli ultimi sessant’anni. Si scopre una consonanza incredibile con Francesco. Don Lorenzo Milani in “Lettera a una professoressa” ha lasciato scritto: “Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortire da soli è l’avarizia”. E nel volumetto “L’obbedienza non è più una virtù” si legge rivolto ai giudici perorando la dignità dell’obiezione di coscienza: “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro”. Francesco ha indicato una via di uscita “insieme”, facendosi apostolo del Vangelo nella lettura che ne ha fatto il concilio Vaticano II. “Quello che sta facendo Papa Francesco – rileva il cardinale Mario Grech segretario generale del sinodo dei vescovi – è di aiutarci a riscoprire la bellezza della Chiesa popolo di Dio. E questo è il discorso del Concilio Vaticano II. Allora se noi oggi, dietro l’invito del Santo Padre, stiamo riflettendo – e mi auguro che prenderemo anche delle decisioni -, per rendere la Chiesa più sinodale, è perché il Santo Padre vuol tradurre nella vita quotidiana l’insegnamento del Concilio Vaticano II, in modo particolare l’insegnamento sulla Chiesa, l’ecclesiologia del Vaticano II”. Lo stesso porporato intervistato da Vatican News aggiunge: “Una frase che mi ha colpito e che spesso mi fa riflettere è una frase tratta dall’enciclica Fratelli tutti, dove il Santo Padre dice che oggi “nessuno si salva da solo”. Questa affermazione non è valida unicamente nella Chiesa, ma va anche declinata nella vita quotidiana. Credo infatti che in un mondo frammentato, in un mondo di conflitti e di individualismo, il Santo Padre – ispirato naturalmente da Gesù e dal suo Vangelo – sta cercando di creare più comunione tra gli uomini e le donne del nostro tempo: e questo, lo ripeto, sia nel mondo secolare che nella Chiesa. Questa è la sfida, certo non molto facile, che ha impegnato Papa Francesco in questi anni”.

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