Lettere nella storia: Francesco, una sola messa per l’unità della Chiesa

Il 13 marzo 2013 il cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio veniva eletto Papa, dopo le dimissioni senza precedenti di Benedetto XVI. In vista del decimo anniversario dell’elezione, riproponiamo i nostri articoli su alcune lettere significative che Papa Francesco ha scritto durante il suo pontificato.

Le lettere, talvolta, portano con sé una forza imprevista e suscitano clamori inattesi nella pubblica opinione civile e religiosa. È accaduto questi giorni sulla questione educativa, riemersa come un lampo nella lettera di una preside di Firenze agli studenti. Altre volte le lettere scrivono la storia. Ed è accaduto a due lettere (nel 2021 e ’22) con le quali papa Francesco, con norme tassative, ha posto fine all’annosa lite sull’unità della Chiesa e la sua liturgia.

Le lettere di Francesco

Nella lettera ai vescovi il papa conclude l’esperimento liturgico, consentito da Benedetto XVI ai fedeli tradizionalisti, di poter celebrare la messa con l’antico rito latino del vecchio messale anteriore al concilio Vaticano II. Una questione marginale – penseranno i più – Invece centrale dell’essere cristiani cattolici oggi. Nella società secolarizzata, la partecipazione alla messa domenicale si va assottigliando. Essa è una spia della diminuita coscienza cristiana nella società “liquida” contemporanea, definita da filosofi e sociologi “società del rischio” o “società della stanchezza”. Le lettere di Francesco pongono una questione a monte dell’essere cristiani cattolici e di come manifestarlo nella vita. La liturgia, ossia la preghiera comune dei fedeli centrata sulla celebrazione eucaristica, invece che sulle private devozioni ai santi, è il cuore della vita cristiana o, per dirla con il concilio Vaticano II, “culmine e fonte” di tutta la vita della Chiesa. L’unità nel modo di celebrare l’Eucaristia è il simbolo massimo dell’unità della fede in Gesù Cristo.

Un aspro confronto teologico

Non è un caso che la contestazione più pericolosa al concilio sia venuta – fino allo scisma – da una minoranza guidata dal vescovo Lefebvre abbarbicata alla messa in latino secondo il rito del vecchio messale romano. Per riassorbire lo scisma, Benedetto XVI aveva concesso a particolari comunità di celebrare il rito con il vecchio messale. Ma proprio tra questi gruppi e simpatizzanti si annidano le critiche più ostinate al papa e il rifiuto del concilio. Papa Francesco ha posto fine alla concessione per ricomporre l’unità della Chiesa. Per la materia trattata, la Lettera ai vescovi che accompagna la disposizione nota come “Traditiones custodes” (custodi della tradizione) è considerata tra le più importanti di papa Francesco. Essa chiude – almeno formalmente – un aspro confronto teologico e pastorale che si trascina da 60 anni. Entro una Chiesa unita non possono esserci due riti paralleli. Il papa utilizza la lettera non solo come mezzo per regolare la liturgia, ma anche per spiegarne il senso.

L’azione della Chiesa

È dello scorso anno una nuova Lettera apostolica dal titolo “Desiderio desideravi” (Ho fortemente desiderato) sulla formazione liturgica del popolo di Dio. Chissà se la scarsità di questa formazione sia all’origine della debole coscienza cristiana nel tempo presente e della sempre minore partecipazione alla messa domenicale. La Lettera apostolica di Francesco è un ampliamento della lettera ai vescovi e chiarisce la sua intenzione: garantire la fedeltà della riforma liturgica al concilio e dunque “perché la Chiesa possa elevare, nella varietà delle lingue, una sola e identica preghiera capace di esprimere la sua unità. Questa unità, come già ho scritto, intendo che sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano”. Per riuscirvi serve la formazione liturgica che renda coscienti i fedeli del senso del partecipare alla messa nella quale tutti i battezzati e non solo il sacerdote sono celebranti. Ricordiamoci sempre – scrive il papa – che è la Chiesa, Corpo di Cristo, il soggetto celebrante, non solo il sacerdote. Se la Liturgia è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia, comprendiamo bene che cosa è in gioco nella questione liturgica. Sarebbe banale leggere le tensioni, purtroppo presenti attorno alla celebrazione, come una semplice divergenza tra diverse sensibilità nei confronti di una forma rituale. La problematica è anzitutto ecclesiologica. Non vedo come si possa dire di riconoscere la validità del Concilio – anche se un po’ mi stupisce che un cattolico possa presumere di non farlo – e non accogliere la riforma liturgica”.

Il ruolo dei fedeli

In gioco è una concorrenza tra diverse visioni di Dio e della Chiesa. Finora la concessione data per celebrare la messa con il vecchio rito si è trasformata in un cavallo di Troia per “aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni”. L’intenzione della riforma era che “i fedeli non assistessero come estranei o muti spettatori al mistero di fede, ma, con una comprensione piena dei riti e delle preghiere, partecipassero all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente”.

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