Professore, in che modo lo scenario economico attuale, caratterizzato da un’inflazione elevata, dal rialzo dei tassi e dall’incertezza sui mercati si ripercuote sull’occupazione e sul mondo del lavoro?
“Viviamo una situazione anomala: a causa dell’inflazione, della guerra e delle tensioni internazionali ci saremmo dovuti aspettare un periodo di ulteriore crisi dopo il Covid. C’è stata una forte ripresa fin dal 2021 e l’Italia è cresciuta di più rispetto alle previsioni anche nel 2022. Questo ha una diretta influenza sull’occupazione: abbiamo raggiunto un tasso di occupazione del 60,8%, con oltre 452mila occupati in più nel 2022, un record storico; non eravamo mai arrivati a tanto da quando esistono le rilevazioni Istat. Dal 2000 l’economia italiana registrava sempre gli stessi incrementi di Pil: oggi sta andando molto meglio, superando le previsioni e superando le realizzazioni del Pil di Paesi tradizionalmente più forti come Germania e Francia”.
Il PNRR rappresenta un’occasione importante per rilanciare l’economia del nostro Paese. Quali opportunità possono nascere dalla sua messa a terra?
“Il PNRR è fondamentale, anche e soprattutto per ciò che rappresenta. Più in generale, il progetto Next Generation EU ha segnato il passaggio dalle politiche di austerità, imposte da Germania e Paesi Bassi, alla solidarietà tra i Paesi dell’Unione Europea. Con il PNRR abbiamo per esempio attuato le emissioni di eurobond, che sono fondamentali, e a cui i Paesi del Nord Europa si opponevano da sempre. In questo quadro si inseriscono anche il Piano Sure per l’occupazione e il REPowerEU per le energie rinnovabili. Il problema è restare su questa linea con una apertura verso una reale solidarietà. La Corte europea ha sempre sostenuto il principio della sovranità condivisa tra Paesi europei. Fino alla pandemia abbiamo avuto una sovranità subalterna rispetto ai Paesi del Nord Europa. È il motivo per cui il contesto di solidarietà in cui il PNRR sarà attuato è più importante del PNRR stesso: se riusciamo a cambiare l’aspetto macroeconomico dell’Unione Europea, compiremo un passo fondamentale”.
Gli anni della pandemia hanno modificato le aspettative dei giovani rispetto al mondo del lavoro. Da docente universitario, che ha un contatto quotidiano con gli studenti, qual è la sua percezione?
“Al di là di tutti gli aspetti negativi della pandemia sulla psicologia dei giovani e i timori che ci hanno colpito sotto l’aspetto pratico, ci sono stati anche risvolti positivi. Lo smart working ha migliorato l’atteggiamento dei giovani rispetto alla cultura digitale. Da docente, facendo esami e lezioni online, posso garantire che gli studenti si sono abituati alla digitalizzazione. Sotto questo aspetto c’è stato un input in più derivato dalle condizioni che anche i giovani hanno dovuto rispettare. Per fortuna, c’è una forte ripresa dell’occupazione; tuttavia il 40% delle domande di lavoro delle imprese non è soddisfatta perché purtroppo non sempre la qualità dell’offerta corrisponde alla qualità della domanda. Per questo bisogna orientare i giovani verso percorsi di studi che hanno sbocchi a carattere occupazionale: ingegneria, fisica, statistica”.
Poste Italiane ha assunto negli ultimi anni 25mila giovani, tra cui molti profili altamente qualificati. Quale segnale si può cogliere da questo investimento sul futuro del principale datore di lavoro d’Italia?
“È importantissimo anche il ruolo di Poste Italiane nell’offrire occupazione ai giovani: il segnale che bisogna cogliere è fondamentale. Discutiamo sempre delle condizioni economiche del nostro Paese. Queste dipendono dalle condizioni demografiche: il tasso di fecondità dell’Italia è uno dei più bassi tra i Paesi Ocse, intorno a 1,1-1,2%, quando dovrebbe invece essere di 2,1%. Per l’economia del nostro Paese la premessa è che abbiamo sempre più persone anziane e sempre meno giovani. Nel nostro Paese sono stati sempre i giovani a pagare le pensioni degli anziani: se noi non incrementiamo, in qualche maniera, le politiche familiari – l’Italia lo sta facendo con il Family Act – avremo un sistema economico che diventerà insostenibile perché il numero sarà sempre minore rispetto agli anziani. È evidente che più si riesce a impiegare i giovani, più si riesce a sostenere il sistema economico italiano”.
Anche per garantire l’occupazione Poste ha saputo trasformare il proprio business diventando una platform company: la divisione logistica, un tempo legata a cartoline e raccomandate, è oggi il principale operatore nel recapito dei pacchi, le cui consegne sono rese sempre più a misura di cliente grazie al digitale. Per le grandi imprese del nostro Paese quanto è necessario oggi trasformarsi per stare sul mercato?
“Questa trasformazione è un altro elemento particolarmente utile al sistema economico italiano. Siamo passati da un capitalismo industriale a un capitalismo digitale, da strutture materiali di comunicazione a reti immateriali di connessioni. Già da prima della pandemia Poste si è adeguata a questa trasformazione e oggi osservo con piacere che sta studiando soluzioni innovative di coworking per offrire spazi di lavoro condivisi alle aziende che stanno anche loro trasformandosi verso il digitale. Poste è sulla strada giusta per migliorare i modelli di modernizzazione del nostro Paese”.
Come si inserisce l’attuale transizione digitale nel percorso compiuto dall’azienda nella sua lunga storia?
“È stato fatto un passo fondamentale. Ma ora guarderei al futuro, dobbiamo entrare nell’ottica che, usando un’espressione di Paul Valéry, “il futuro non è più quello di una volta”. Le previsioni si possono fare guardando a ciò che è accaduto: ciò che è accaduto è accaduto molto in fretta e questo rende difficile programmare. Se il futuro cambia così velocemente è difficile fare previsioni. Per dare continuità bisogna adeguarsi alle aspettative del futuro”.