Il primo che nella letteratura cristiana attribuì alla Chiesa l’appellativo di «cattolica», cioè «universale» fu il vescovo martire Ignazio d’Antiochia al tempo dell’imperatore Traiano (97- 117 d.C.). E lo fece in una lettera ai cristiani di Smirne: “Dove è Gesù Cristo, lì è la Chiesa cattolica”. In quel tempo l’uso della lettera era frequente, forse il più usato se non unico strumento di comunicazione tra lontani. Vi fecero ricorso anche gli apostoli e i Padri della Chiesa, quella generazione di vescovi e responsabili delle prime comunità cristiane.
Ignazio è uno dei più autorevoli tra questi Padri sia per aver scritto ben sette lettere, sia come testimone credibile per aver dato la vita. Le sue Lettere giunte fino a noi furono scritte, dopo l’arresto, durante il lungo trasferimento in catene a Roma dove nel 107 fu dato in pasto alle belve nel circo. Nella prima sosta, a Smirne, scrisse tre sue lettere (alle comunità di Efeso, Magnesia, Tralli) e una ai Romani, pregandoli di non intercedere per lui presso l’imperatore. “Scrivo a tutte le Chiese e annunzio a tutti che io muoio volentieri per Dio, – confida Ignazio – se voi non me lo impedite. Vi prego di non avere per me una benevolenza inopportuna. Lasciate che sia pasto delle belve per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo. Piuttosto accarezzate le fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo ed io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo. Pregate il Signore per me perché con quei mezzi sia vittima per Dio. Non vi comando come Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io un condannato; essi erano liberi io a tuttora uno schiavo. Ma se soffro sarò affiancato in Gesù Cristo e risorgerò libero in lui”.
Da Troade scrisse alle comunità di Filadelfia, Smirne e a Policarpo vescovo della città dopo aver appreso che era cessata la persecuzione contro i cristiani di Antiochia. Nato intorno al 35 dell’era cristiana, Ignazio fu un quasi contemporaneo di Cristo crocifisso. Lungo il tragitto verso Roma, indirizza una delle sue lettere a Policarpo, giovane vescovo di Smirne, che sarà martirizzato a sua volta nel 155. Un vero passaggio di testimone tra martiri impegnati a consolidare la fede in Gesù messa in crisi dalle prime eresie. Il vescovo in catene chiede a Policarpo di inviare un messaggero alle Chiese di Siria e nella stessa Antiochia lasciata vacante dall’arresto di Ignazio. “Non ho potuto scrivere a tutte le Chiese dovendo imbarcarmi improvvisamente da Troade a Neapolis, come impone l’ordine ricevuto. Scriverai tu alle Chiese (che ti sono) davanti, – raccomanda Ignazio – conoscendo la volontà di Dio, che facciano la stessa cosa, di mandare cioè messaggeri, potendolo, o di spedire lettere a mezzo dei tuoi inviati per essere glorificati con un’opera eterna, come tu ne sei meritevole”. Incoraggiamento e richiami allo stile fondamentale di vita che testimoni la novità del cristiano che “non vive per sé, ma è a servizio di Dio”. E qualche consiglio suggeritogli dall’esperienza: “Preoccupati dell’unità di cui nulla è più bello. Sopporta tutti, come il Signore sopporta anche te; sostieni tutti nella carità, come già fai […] Se ami i discepoli buoni, non hai merito; piuttosto devi vincere con la bontà i più riottosi […] Siate tolleranti nella dolcezza gli uni verso gli altri, come Dio lo è con voi”. Lettere d’importanza singolare per conoscere le priorità delle prime comunità e garantire unitario l’insegnamento. “Non ascoltate nessuno che non vi parli di Gesù Cristo nella verità” scrive agli Efesini. E aggiunge: “Per gli altri uomini «pregate senza interruzione». In loro vi è speranza di conversione perché trovino Dio. “Lasciate che imparino dalle vostre opere. Davanti alla loro ira siate miti; alla loro megalomania siate umili, alle loro bestemmie (opponete) le vostre preghiere; al loro errore «siate saldi nelle fede»; alla loro ferocia siate pacifici, non cercando di imitarli. Nella bontà troviamoci loro fratelli, cercando di essere imitatori del Signore. Niente è più bello della pace nella quale si frustra ogni guerra di potenze celesti e terrestri”. Bisogna non solo chiamarsi cristiani, ma esserlo, ripete ai cristiani di Magnesia. “Alcuni parlano sempre del vescovo ma poi agiscono senza di lui…voglio mettervi in guardia di non abboccare all’amo della vanità, ma di essere convinti della nascita, della passione e della resurrezione di Gesù avvenuta sotto il governo di Ponzio Pilato”. È bello – si legge nella lettera ai Tralliani – tramontare al mondo per il Signore e risorgere in lui”. E ai cristiani di Filadelfia: “Per me l’archivio è Gesù Cristo”. Inamovibile.