Roma, 20 nov – Utilizzando pellicole fotopolimeriche di nuova concezione come quelle in Bayfol HX, un materiale realizzato dalla società tedesca Covestro, specializzata nella produzione di polimeri innovativi, l’Istituito nazionale di astrofisica sta mettendo a punto spettrografi ad altissime prestazioni. E l’applicazione di queste pellicole non si ferma all’astronomia, ma coinvolge aspetti comuni della vita come schermi trasparenti per i parabrezza, luci olografiche innovative per le auto, documenti a prova di contraffazione e altro ancora.

I telescopi ad alte prestazioni dell’astronomia contemporanea servono non solo per produrre immagini dettagliate di stelle e galassie, ma anche per studiare i processi fisici e chimici coinvolti nell’attività stellare, dalla formazione di una stella alla sua eventuale esplosione come supernova. Man mano che gli strumenti diventano sempre più grandi, con l’obiettivo di raggiungere risoluzioni sempre più elevate e indagare lo spazio sempre più in profondità, – si legge su Media Inaf, il notiziario online dell’Istituto nazionale di astrofisica – i progressi sul fronte dello sviluppo di nuovi materiali stanno consentendo notevoli passi avanti nell’analisi spettroscopica della luce stellare, permettendo al tempo stesso di ridurre la complessità degli strumenti coinvolti.

In Italia, l’Inaf sta lavorando su elementi ottici olografici basati su ologrammi di volume (Vphg, dall’inglese volume phase holographic gratings): reticoli in grado di decomporre con grande efficienza la luce delle stelle nei suoi colori, così da poterne eseguire l’analisi spettroscopica. Nel corso di una collaborazione pluriennale con Covestro, multinazionale tedesca specializzata nella produzione di polimeri hi-tech, un particolare tipo di pellicole fotopolimeriche su misura prodotte da quest’ultima – i film di Bayfol® HX – si è dimostrato il materiale ideale per la produzione riproducibile di ologrammi di volume ad alta efficienza su telescopi ad alte prestazioni per spettrometri di nuova concezione e di diverse tipologie.

I film Bayfol HX sono costituiti da una pellicola di supporto sulla quale sono posizionati uno strato sensibile alla luce e un’ulteriore pellicola protettiva esterna, e sono prodotti su scala industriale. Gli ologrammi di volume possono essere stampati sulle pellicole in Bayfol® HX attraverso un processo molto semplice, puramente ottico e riproducibile, senza la necessità di alcun pre o post trattamento chimico. In particolare, è possibile registrare il profilo periodico di indice di rifrazione nello spessore del film di Bayfol® HX in modo flessibile attraverso l’uso di un sistema di esposizione laser. Ed è grazie a questi profili periodici di indice di rifrazione che si riesce a separare con grande efficacia la luce delle stelle nelle sue componenti spettrali – un po’ come fa un prisma, ma in modo assai più efficiente.

“Grazie a questi film fotopolimerici per il trasporto della luce, siamo stati letteralmente in grado di ampliare i confini dell’astronomia”, dice Alessio Zanutta, project manager holography all’Istituto nazionale di astrofisica. “A differenza dei materiali impiegati in passato per la produzione di reticoli di diffrazione, con tutti i loro limiti di lavorazione, gli ologrammi di volume basati su Bayfol HX consentono un’ampia varietà di geometrie di reticolo di diffrazione e un’altissima possibilità di combinazioni o integrazioni con altri elementi ottici. Questo apre le porte alla realizzazione di spettrometri di nuova concezione, e di conseguenza un ‘accesso alle stelle’ senza precedenti. Ad esempio, l’Inaf è già riuscito a impiegare Bayfol® HX su diversi strumenti installati in cinque telescopi ad alte prestazioni sparsi ovunque nel mondo. E fra gli elementi ottico olografici prodotti in questo modo il più vecchio sta funzionando in modo affidabile da oltre otto anni”.

Fra i telescopi che già oggi si avvalgono di spettrografi con reticoli realizzati in Bayfol HX ce ne sono anche tre dell’Inaf: in Italia, il “Copernico” di Asiago e il “Cassini” di Loiano, e alle Canarie il Telescopio nazionale Galileo, che con il suo specchio primario da 3,5 metri è il più grande telescopio ottico interamente italiano al mondo. Già sono arrivati anche i primi risultati scientifici ottenuti grazie a questi nuovi materiali, e presto ne giungeranno altri. “I Vphg (volume phase holographic gratings) di ‘plastica’ – ricorda infatti a Media Inaf Andrea Bianco dell’Inaf-Osservatorio astronomico di Brera – sono stati una sfida che abbiamo accettato diversi anni fa, e ne abbiamo fatto uno degli obiettivi strategici nell’ambito del progetto europeo Opticon. Già nel 2014, i primi prototipi montati sul telescopio di Asiago erano stati usati per la classificazione di una supernova, ed essi sono ancora usati oggi a distanza di anni. Forti di questi risultati e dell’estrema flessibilità fornita da questi materiali, stiamo sviluppando reticoli innovativi già in parte provati in cielo e che speriamo saranno parte della strumentazione spettroscopica in futuro”.