Il grande salotto è il centro della casa romana di Marco Tullio Giordana, siamo uno davanti all’altro seduti su due divani che si fronteggiano, sullo sfondo i manifesti di film con i volti di Robert Mitchum e Jean Gabin. Il regista del cinema civile italiano, quello di “Romanzo di una strage”, “I cento passi” e “La meglio gioventù”, è alto, robusto, ma con un viso e un’espressione da eterno ragazzo, nonostante i capelli sbiancati, uno che non riesce a nascondere le passioni. Come quella di grande lettore precoce, sin da adolescente, “nel periodo in cui si scrivono di più lettere appassionate d’amore infelice”, dice ironizzando, definendosi “un divoratore di libri di corrispondenze, di romanzi epistolari”, e cita “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” di Foscolo, “Le relazioni pericolose” di Choderlos de Laclos, già licenziose per l’allora età acerba, lette di nascosto da ragazzino. “Ricordo le lettere del filosofo Søren Kierkegaard a Regina Olson, è come se lo scrittore in ogni lettera scrivesse un piccolo romanzo, rivelano in profondità e senza filtri quello che uno pensa”.
Un antenato celebre
Una corrispondenza cinematografica l’ha avuta con Riccardo Tozzi, il produttore di “Romanzo di una strage”: “Stavo girando, lui vedeva il materiale, mi scriveva per dirmi cosa secondo lui funzionava e cosa no, sono state utili, mi ha fatto piacere rileggerle di recente, perché non sempre i rapporti con un produttore sono idilliaci”, racconta, “invece in quel caso erano di grande collaborazione e amicizia”. Si è scritto anche con alcuni cineasti: “Ho trovato– ammette – una lettera di Ermanno Olmi, che mi scrisse i complimenti dopo aver visto un mio film, quelle lettere le conservo, le tengo in un cassetto”. Nella sua famiglia comunque hanno sempre tenuto vivo il culto della memoria, “sono sempre state conservate tutte le copiose corrispondenze, in particolare quelle di mio nonno Tullio, che si chiamava Tullio Giordana come me, con tutti gli intellettuali dell’epoca”. Tullio fu celebre giornalista dei primi del ’900, direttore de “L’Ora” di Palermo e de “La tribuna”, organo del Partito Liberale di cui fu uno dei fondatori. “Ho letto tutte quelle lettere di D’Annunzio, Oreste Lombardo, Olindo Malagodi, è la lettera che contiene il tempo e la Storia», spiega serio, “una cosa con cui mi sono confrontato molto presto nella mia vita con curiosità”.