Ha due facce, entrambe sontuose, ma così diverse, il Palazzo delle Poste di Palermo, che sorge con grande impatto visivo sulla centrale via Roma e che venne consegnato alla città il 28 ottobre 1934, anniversario della Marcia su Roma. Data non casuale, per timbrare bene la sua essenza. E in effetti da un punto di vista architettonico questo edificio trasmette pienamente un messaggio di grandezza, magnificenza, orgoglio e fierezza nazionale. Ha una bellissima simmetria, sia in altezza, con i suoi colonnati, che in pianta. Ma la particolarità è che mentre all’esterno questa potenza neoclassica colpisce l’occhio, all’interno cambia tutto. Il palazzo, che destò molto scalpore per i suoi costi elevati (oltre 15 milioni di lire), fu progettato dall’architetto bolognese Angiolo Mazzoni, che scelse un tripudio cromatico e, dentro le mura, diede ampio spazio al suo eclettismo. Le due facce hanno in comune una sola cosa: la grandezza, l’enormità degli spazi. Parliamo di un edificio che occupa una superficie di oltre 5mila metri quadri, per un’altezza di 24 metri. Per realizzarlo ci sono volute 275mila giornate lavorative, con una media giornaliera di 200 operai impegnati, più un nutrito numero di artisti.
Un autentico museo futurista
Al carattere monumentale della facciata – tipico esempio di architettura fascista aulica retorica – contribuiscono anche le 10 colonne grigie incassate al centro, pulite, lineari, prive di basi e capitelli. Salita l’ampia scalinata e oltrepassato il porticato – lungo la bellezza di 50 metri: tutto è così grande e imponente – si arriva alla sala al pubblico, sormontata da una volta a crociera di 14 metri, con un enorme bancone per scrivere che è anche una vasca fontana, decorata con marmi rossi, neri e un azzurro mosaico lucentissimo. Da qui in avanti cambia tutto. Mazzoni ha dato libero sfogo al suo estro. Le porte sono di rame, e anche molti degli arredi, infissi, sgabelli, cestini per i rifiuti, portaombrelli, in alcuni casi disegnati dallo stesso architetto bolognese. Persino gli ascensori erano stati concepiti come oggetti artistici. Al terzo piano si sale attraverso la scala elicoidale, restaurata da poco. In questa area il monumento architettonico contiene al suo interno un piccolo museo futurista. Lungo il corridoio si aprono lo studio dell’ex direttore provinciale e la sala delle conferenze. Entrambe sono state arredate con mobili, tende ricamate e oggetti in puro design futurista. Alle pareti quadri e affreschi. Nella stanza del Direttore, ci sono i dipinti murali in tempera di Piero Bevilacqua sul tema delle comunicazioni. Per la sala delle conferenze Mazzoni volle che i giovani artisti dell’avanguardia futurista realizzassero “una caleidoscopica esplosione di colori”. Qui ci sono: cinque enormi tele a tempera ed encausto di Benedetta Cappa Marinetti, moglie di Filippo Tommaso, ma soprattutto grande esponente della pittura futurista, che raffigurano allegorie delle moderne vie di comunicazioni, terrestri, aeree, marittime, telegrafiche e radiofoniche, esemplari di tutta l’aeropittura futurista; due opere di Tato – “Il varo” e “Giovinezza” -; e una di Piero Bevilacqua, dedicata all’allora avveniristica televisione. Poco tempo fa una troupe della BBC è venuta per effettuare delle riprese nella sala delle conferenze con le opere della Marinetti, di Tato e Bevilacqua oltre alla Diana Cacciatrice di Corrado Vigni, che a onor del vero non c’entra molto con il futurismo. Nel 2013, invece, i capolavori futuristi di questo Palazzo sono stati esposti al museo Guggenheim.